La presentazione del rapporto FIRE sugli energy manager 2017 mostra un ulteriore aumento delle nomine effettuate ai sensi della legge 10/1991 e segnali positivi soprattutto per l’industria e il terziario, ad eccezione della P.A., che continua a essere largamente inadempiente. Interessanti spunti vengono anche dall’indagine di accompagnamento al rapporto, che ha indagato aspetti quali i benefici non energetici, i sistemi di monitoraggio, industria 4.0 e alcuni strumenti collegati alla riqualificazione energetica degli edifici.
Di seguito l’articolo pubblicato su Staffetta Quotidiana e la presentazione proposta all’incontro di presentazione del rapporto che si è svolto al MiSE.
L’efficienza energetica è il principale strumento disponibile per raggiungere gli obiettivi fissati dall’Accordo sul clima di Parigi e dalle direttive comunitarie mirate alla riduzione delle emissioni climalteranti. L’uso intelligente dell’energia rappresenta anche un’occasione per le nostre imprese in termini di produzione di beni e servizi e di aumento della competitività, grazie allo sfruttamento dei benefici multipli che si accompagnano alla riqualificazione energetica di edifici e linee produttive.
Una figura determinante per cogliere questa opportunità è l’energy manager, che in Italia è legato alla legge 10/1991, che ne ha istituito previdentemente l’obbligo per i soggetti grandi consumatori di energia (industrie oltre i 10.000 tep di consumi primari annui e altri soggetti oltre i 1.000 tep). Dal 1992 la FIRE si occupa di gestire le nomine degli energy manager e di promuoverne il ruolo in base a un accordo a titolo non oneroso con il Ministero dello sviluppo economico. Vale la pena di ricordare che la nomina è annuale, va effettuata entro il 30 aprile attraverso la piattaforma web NEMO predisposta da FIRE, può essere effettuata anche da soggetti non obbligati.
Di seguito si forniscono gli elementi più interessanti emersi dal Rapporto sugli energy manager 2017, presentato dalla FIRE il 7 luglio al MiSE e composto di una parte dedicata all’analisi dei dati raccolti attraverso le nomine e di una collegata all’indagine svolta annualmente per fare emergere trend e elementi di interesse per comprendere come sta evolvendo il mercato dell’efficienza energetica, come le imprese e gli enti sfruttano le possibilità offerte dalle nuove tecnologie e come si possa intervenire per supportare lo sviluppo di modelli virtuosi.
In merito ai soggetti obbligati, nel 2016 sono pervenute 1.519 nomine. Industria e terziario rimangono i settori con il maggior numero di energy manager, con i trasporti che coprono il 19% e l’agricoltura il 3%. Alle nomine dei soggetti obbligati si aggiungono i 720 energy manager indicati volontariamente da imprese ed enti che ritengono questa figura importante per lo sviluppo del proprio core business.
Globalmente dal 2003 al 2016 le nomine sono salite da 2.022 a 2.239 unità, segno di un’attenzione cresciuta, anche se non in modo soddisfacente, se si considera l’elevato tasso di inadempienza, soprattutto da parte della pubblica amministrazione. Basti pensare, al riguardo, che solo 6 città metropolitane, 8 regioni, 19 province e 86 comuni hanno provveduto alla nomina, su un totale stimato di enti soggetti all’obbligo di legge di oltre 1.400. Un dato che parla da solo, e che purtroppo è indice e conferma della difficoltà della P.A. di rispondere alle sfide del presente, oltreché di rispettare obblighi e target.
In termini di energia gestita, le imprese manifatturiere e del comparto energetico coprono circa l’86% dei circa 79 milioni di tep di cui sono chiamati a occuparsi gli energy manager. Si segnala che un 25% circa dei consumi energetici continua ad essere stimata e non misurata, un valore alto in un periodo in cui si parla con insistenza di industria 4.0, di sviluppo delle soluzioni ICT e di automazione.
Per gestire al meglio le consistenti quantità di energia sopra indicate è importante che l’energy manager goda di un inquadramento opportuno, sia competente e goda degli strumenti opportuni. I numeri tratti dalle nomine mostra un numero ancora limitato di energy manager di livello dirigenziale (pari al 36%), cui si aggiungono un 34% di quadri e un 30% di impiegati. Per poter incidere efficacemente sulle scelte aziendali è invece importante che l’energy manager abbia la possibilità di interagire costantemente con i decisori e di contribuire agli sviluppi strategici del core business. Va meglio in termini di qualificazione, con il raddoppio dei nominati certificati EGE, saliti a 321. Ed è positivo che continui a crescere il numero di soggetti nominanti che hanno adottato un sistema di gestione dell’energia, strumento molto efficace per portare nel tempo all’integrazione fra core business e uso dell’energia, ossia la leva che porta a un reale aumento della competitività.
Interessanti gli stimoli provenienti dall’indagine, estesa a imprese industriali e del terziario e agli enti locali, con quesiti differenti e volti a indagare alcuni temi fondamentali in un’ottica attuale. Il primo è industria 4.0. L’indagine mostra che le imprese hanno iniziato ad attivarsi e che prevedono di sfruttare gli strumenti di supporto disponibili, come iper e super ammortamento.
Il connubio fra l’ICT e l’energia traspare anche dal secondo tema indagato, ossia la diffusione dei sistemi di monitoraggio. A tale proposito emergono la conferma dei benefici conseguibili dall’adozione di tali sistemi, non solo energetici, e i tempi di ritorno interessanti. Permangono comunque molti spazi di miglioramento, considerando in particolare l’uso non ancora del tutto consapevole di questi sistemi e la scarsa diffusione delle soluzioni più integrate, capaci di raccogliere più informazioni e, soprattutto, di collegare diversi aspetti della produzione.
Particolarmente rilevante, sebbene il campione dell’indagine non sia certo rappresentativo della totalità delle imprese, l’attenzione crescente al tema dei benefici multipli, un aspetto che FIRE promuove da diversi anni per gli impatti che può avere sull’efficienza energetica. Il dato è positivo soprattutto per l’industria, in cui il 20% ha avviato delle procedure per la valutazione quantitativa delle ricadute non energetiche degli interventi di efficienza energetica, il 28% esegue un’analisi qualitativa e il 47% è interessato a farlo nel futuro. Il terziario mostra numeri positivi, sebbene di minore entità. Del resto i benefici sono tangibili: tali ricadute possono valere dal 10% a oltre il 60% dei risparmi energetici e, soprattutto, consentono di promuovere l’uso razionale dell’energia facendo leva su temi collegati al core business, quali la produttività, la qualità, la riduzione dei rischi, l’immagine aziendale, etc.
L’ultimo tema indagato è legato alla riqualificazione degli edifici, che oltre a essere una delle priorità della Strategia energetica nazionale in discussione attualmente, rappresenta una sfida, considerando i numeri, gli investimenti necessari e i requisiti minimi che tendono aglio edifici a consumi quasi nulli (NZEB). Al di là dell’ottimismo indicato dai partecipanti all’indagine e della fiducia nello strumento del conto termico, il fatto di vedere nell’energy performance contracting (EPC) la soluzione del problema, nonostante le barriere tutt’ora esistenti, suggerisce di valutare con attenzione il tema in un’ottica di policy e di strumenti di supporto.
Per concludere, dai risultati del Rapporto FIRE e dall’indagine correlata, il ruolo dell’energy manager appare in crescita e almeno una parte dei soggetti nominanti si sta muovendo nella giusta direzione, adottando gli strumenti necessari per rimanere competitivi in futuro e/o per costruire un modello di sviluppo in grado di collimare con gli obiettivi di Parigi. Tuttavia è innegabile che ci sia ancora molto da lavoro da fare, e lo si deduce sia dalle rilevazioni sul tasso di inadempienza alla nomina, sia da considerazioni ed esperienze degli energy manager stessi emerse durante l’indagine e nell’ambito dell’Osservatorio degli energy manager avviato dalla FIRE nel 2016, che consiste in tre tavoli tecnici: uno dedicato alla pubblica amministrazione, uno agli strumenti per l’energy manager e l’ultimo all’energy management 2.0 (ossia agli sviluppi più recenti del ruolo, in linea con Industria 4.0 e con le esigenze dell’attuale mercato). L’obiettivo dell’iniziativa è la condivisione di esperienze virtuose tra gli energy manager e la discussione di argomenti fondamentali per la maggior parte degli operatori (e.g. ISO 50001, EPC, split incentive, IPMVP, guide alla nomina dell’energy manager, cambiamenti comportamentali, etc.). Il primo risultato dell’osservatorio, legato al tavolo tecnico dedicato alla P.A., è una guida volta a facilitare la nomina dell’energy manager in questo specifico settore e definirne in modo più chiaro compiti e responsabilità.
Il Rapporto sugli energy manager e la guida per la P.A. sono scaricabili all’indirizzo http://em.fire-italia.org.
Finchè si può nominare Energy Manager la signora delle pulizie di cosa stiamo parlando?
Finchè il Sisma-bonus lo può fare il perito elettrotecnico… ma di che cosa stiamo parlando??!!
Finchè la certificazione energetica la può fare l’agronomo (??)…ma di che cosa stiamo parlando??!!
Per carità, il silenzio è d’oro, e capisco lo sfogo. In un Paese come il nostro dove il sottocosto e la scarsa competenza trovano tanto spazio certe volte passa la fantasia.
Ma sono diciassette anni che mi occupo di energy manager, e molte cose sono cambiate in meglio in questo periodo, compreso il numero di persone nominate energy manager solo per rispondere all’obbligo (oltre al peso in azienda, al livello medio di qualificazione, agli strumenti di cui può disporre, etc.). Se questo è successo, è perché se n’è parlato.
Purtroppo il mondo non è perfetto, ma si può migliorare. A questo serve parlarne. E parlarne in termini positivi, senza nascondere ovviamente i problemi che sempre esisteranno, contribuisce a migliorare la situazione.
Sicuramente anche gli altri temi da lei segnalati avrebbero bisogno che se ne parlasse di più, promuovendo la qualità dei lavori.