Libertà di stampa e vagoni in cambio di referendum

In Italia la libertà di stampa è assicurata, se si intende la possibilità di recarsi in tipografia e stampare un proprio libello. Se però parliamo di libertà di espressione e di discussione assistiamo a un continuo degrado della situazione. Secondo la classifica appena stilata da reporters sans frontières occupiamo un formidabile settantasettesimo posto su 180 Paesi, avendo perso quattro posizioni rispetto all’anno precedente.  

Per la verità nella definizione del punteggio l’associazione giornalistica tiene conto anche della Città del Vaticano, che è un altro Stato, per quanto integrato nel nostro. Ciò premesso, incidono sulla valutazione le minacce o aggressioni subite da giornalisti, specie se impegnati negli scandali sulla corruzione o sulla malavita, così come i procedimenti giudiziari in corso collegati alle attività da essi svolte.

C’è sicuramente di peggio, specie se si guarda a est e sud della Penisola, ma vedere un colore diverso sulla mappa rispetto a buona parte dei nostri vicini di casa non è confortante.

Del resto non c’è di che stupirsi, in un Paese sempre più ostaggio della burocrazia, delle leggi scritte male e di un uso distorto delle Istituzioni: si tratta di elementi che finiscono per incidere negativamente su ogni attività, informazione compresa. Senza entrare nel merito di ciò che accade ai giornalisti,  mi sembra si possa fare qualche considerazione legata al settore dell’energia e alle attività non giornalistiche.

Nell’era dei social network e di internet sembrerebbe ovvio attendersi una libertà di espressione pressoché totale, salvo i Paesi che intervengono oscurando alcuni siti e dispositivi. Visto che non siamo in Paesi che attuano tali pratiche, ciascuno di noi può mettere in piedi un blog o iscriversi a un social network o commentare i post presenti sui siti di informazione o di altro tipo. Il fatto è che questa libertà di espressione non si accompagna nella maggior parte dei casi a un impatto significativo, sia perché il numero dei lettori è basso, sia perché la maggior parte di ciò che viene scritto rimane molto superficiale. Appena si prova a scrivere un commento serio su un quotidiano si rischia di venire censurati (a me è successo più di una volta).

In pubblico o in caso di interviste si è liberi di esprimersi, peccato però che spesso quanto viene detto viene completamento travisato o riadattato, talvolta capita persino di leggere il contrario di quanto si era affermato. Certo, si può chiedere una replica, ma, ammesso venga concessa, ad essa seguirà invariabilmente una controreplica che tenderà ad annacquare il tutto.

La sostanza è che si è liberi di esprimersi, ma laddove l’informazione conta i messaggi contrari a quello che l’editore vuole fare uscire in genere hanno vita breve o non ce l’hanno affatto. Non è così dappertutto, ma l’informazione fondamentale è tutt’altro che libera. Se ne è avuto un esempio recente per il referendum sulle trivelle: primarie cariche dello Stato (o ex come Napolitano) che invitavano all’astensione, TG e programmi di approfondimento impegnati ad affermare che si sarebbe votato solo in alcune Regioni o che comunque nelle altre Regioni non si trattava di un tema di interesse, informazione sul referendum ridotta all’osso e un premier che fa la conferenza stampa dopo il voto e dice che si sono sprecati i soldi con cui si potevano comprare un po’ di vagoni per i treni dei pendolari (in effetti se smettessimo proprio di votare se ne risparmierebbero ancora di più, tanto più che a Renzi i voti non servono; risparmiare accorpando alle amministrative il referendum, invece, non si poteva fare; sui vagoni si è espresso compiutamente Crozza a di Martedì).

Ma più preoccupante è quanto sta accadendo negli ultimi anni in merito alla capacità di combattere le piaghe sociale che attanagliano l’Italia. Ormai molti tirano i remi in barca: tanto chi viene colto in flagrante di reato per corruzione, furto, appropriazione indebita, concussione, bancarotta fraudolenta e chi più ne ha più ne metta sta sempre lì. Protetto da una rete di malaffare che ne condivide parte della cordata di scheletri nell’armadio. Il risultato è che già molti non provano nemmeno a resistere. Nemmeno quando potrebbero esprimersi in pubblico: perché esporsi se tanto nulla cambia? E nel frattempo le leggi sono sempre più contorte e irrispettose delle regole del vivere civile. Ormai neanche si prova a farle decenti, visto che comincia a diffondersi il principio che in seguito si possa ridiscutere quanto concordato prima.

Certo che in un Paese di lamentosi, in cui lo sport è fare gli allenatori del lunedì al bar, mai quelli del venerdì, governare è molto difficile. Ma se comincia a passare il messaggio che il voto è una perdita di tempo, così come il confronto politico… Una società di persone incapaci di capire le esigenze e i problemi degli altri è quanto di peggio esista.

Insomma, la mia impressione è che se si continua così, il colore dell’Italia sulla Mappa di RSF diventerà quantomeno rosso e il nostro livello di produttività, così come la possibilità di risollevarci, andrà ancora più a ramengo. Continuo comunque a pensare che se trovassimo tutti il tempo e la voglia di fare qualcosa, si potrebbe rimettere sulla dritta via il sistema ed evitare certe derive. Certo non è facile e la domanda che tutti ci poniamo è: come? Per cominciare si può  cercare di attuare il cambiamento nel proprio quotidiano. Una goccia in un mare, ma prima o poi le energie positive che non mancano riprenderanno quota. Daje oggi, daje domani… Daje!