Nel 2015 si è verificato un deciso calo del numero di certificati bianchi emessi rispetto agli anni precedenti, secondo i dati pubblicati dal GME. Per l’obiettivo 2015 non dovrebbero esserci problemi, ma l’andamento dell’offerta nei prossimi mesi consentirà di capire se siamo di fronte a una potenziale difficoltà nel raggiungimento degli obiettivi nei prossimi anni. Come ogni anno le tematiche di rilievo legate ai certificati bianchi saranno affrontate nella conferenza annuale FIRE “Certificati bianchi: titoli di efficienza energetica a portata di mano”, giunta alla quinta edizione e in programma a Roma il 12 aprile.
Pubblicato su: Quotidiano Energia.
La recente pubblicazione della newsletter del GME con i dati dei mercati di dicembre consente di fare qualche valutazione sullo schema dei certificati bianchi, in vista della scadenza del 31 maggio e dell’emanazione delle nuove linee guida.
Nel 2015 sono stati emessi circa 5,5 milioni di titoli (TEE), con un calo di 2,8 milioni di TEE sull’anno precedente e 1,3 milioni di TEE sul 2013. Il dato è persino inferiore ai 5,8 milioni di TEE del 2012. Considerando che nello stesso periodo i target sono cresciuti di circa 1,8 milioni di certificati e che nel 2012 l’offerta era in linea con la domanda, è un risultato che andrebbe approfondito, in quanto potrebbe rappresentare un segnale preoccupante sulla capacità dell’offerta di soddisfare gli obiettivi previsti. Tanto più che lo schema dovrebbe coprire circa il 60% dei target al 2020 secondo la notifica inviata dal MiSE alla Commissione europea in accordo con la direttiva efficienza energetica (una previsione che si può cambiare, ovviamente, avendo a disposizione delle alternative o comunque la garanzia di conseguire gli obiettivi sulla riduzione dei consumi energetici).
Come mostra la figura 1, che fa riferimento agli anni solari dal 2013 al 2015 e riporta le emissioni mensili e trimestrali di titoli, si nota una generale riduzione dei certificati immessi sul mercato. Questo trend può dipendere da uno o più dei seguenti fattori: completamento della vita utile per una parte dei progetti, mancata produzione di TEE da parte di alcuni progetti analitici o a consuntivo, ritardi nella valutazione delle pratiche, ridotto apporto di nuovi progetti.
Il primo aspetto – legato al fatto che dopo cinque, otto o dieci anni, a seconda della tipologia di intervento, il singolo progetto cessa di ottenere titoli – nel 2015 dovrebbe essere trascurabile – secondo le nostre stime – e valutabile in prima approssimazione nell’ordine del centinaio di migliaia di titoli. Ben più consistente dovrebbe invece presentarsi nel 2016, quando la riduzione dovrebbe essere nell’ordine dei due milioni di TEE (aspetto che dovrebbe far riflettere sul prossimo anno).
La riduzione dei risparmi generati da progetti presentati negli ultimi anni può verificarsi perché l’intervento produce una riduzione dei consumi energetici inferiori al passato (e.g. per una stagione invernale più “calda” o perché un certo numero di utenti industriali presenta un calo della produzione) oppure perché vengono riviste le condizioni sulla baseline e l’addizionalità (un evento che dovrebbe presentarsi molto raramente, ad esempio per ricorso all’autotutela da parte del GSE). Il primo effetto dovrebbe essere limitato, il secondo è difficile da quantificare, ma si suppone sia anch’esso circoscritto (anche perché se non lo fosse sarebbe preoccupante per vari aspetti).
Sappiamo dai nostri associati che alcune pratiche sono caratterizzate da un forte ritardo, talvolta nell’ordine dell’anno. Al di là del fatto che sono problematiche che non dovrebbero presentarsi e che meritano una risoluzione rapida – in quanto determinano problemi nella gestione degli investimenti e dei finanziamenti –, da un punto di vista numerico dovrebbe comunque trattarsi di un fenomeno limitato, in ogni caso di difficile quantificazione in assenza di statistiche sulla valutazione delle pratiche (il GSE sta facendo un ottimo lavoro da questo punto di vista, per cui si spera che si arrivi con i certificati bianchi allo stesso livello d’eccellenza del conto termico in merito alla trasparenza sulla gestione amministrativa dei progetti).
La possibilità infine che ci sia un calo nella presentazione di nuovi progetti è realistica, in quanto l’applicazione dei criteri economici sulla scorta delle linee guide sugli aiuti di stato nella valutazione dell’addizionalità e della baseline non può non avere un peso sulla presentazione di nuovi progetti, in particolare di quelli industriali. Si tratta di decisioni le cui conseguenze si avvertiranno soprattutto nei prossimi anni e che presumibilmente impatteranno in modo rilevante sulla capacità dello schema di raggiungere gli attuali obiettivi. Il tema meriterebbe maggiori approfondimenti, anche in collegamento alle esperienze maturate in altri Paesi (FIRE sta cercando di raccogliere informazioni al riguardo).
Comunque in FIRE avevamo evidenziato già nel passato l’esigenza di un approfondimento sugli aspetti economici dello schema, su tre punti in particolare. Primo, la capacità di promuovere realmente interventi e non di remunerare azioni già decise, un tema mai indagato in modo approfondito, nonostante la richiesta di materialità della direttiva (e l’esigenza di usare bene le risorse in un periodo di scarsità delle stesse). Secondo, l’eccesso di premialità di alcuni interventi a tempo di ritorno molto basso e addizionalità elevata e viceversa lo scarso supporto di interventi a pay-back lungo e bassa addizionalità (quali quelli sugli edifici). Terzo, la scarsa attenzione data ai benefici aggiunti portati dallo schema, quali il supporto alla crescita e all’evoluzione in ESCO di alcuni operatori, la capacità di rendicontare risparmi effettivi, la raccolta di informazioni sull’evoluzione dei processi industriali e diffusione di know-how fra gli operatori, etc. Riteniamo che rimangano temi attuali e che meritino di essere affrontati in modo organico nell’ambito delle nuove linee guida.
In conclusione ciascuno dei quattro elementi sopra menzionati può avere giocato un ruolo nella riduzione dei titoli generati nel corso del 2015. Resta da vedere se da qui a fine maggio si recupererà il gap (oltre quattro milioni di TEE per andare in linea con l’obiettivo complessivo). In ogni caso non dovrebbero verificarsi problemi sulla verifica dell’obiettivo 2015, visto che grazie all’applicazione della flessibilità al 60% risultano disponibili sul mercato circa 5,8 milioni di TEE a gennaio, con un aumento di circa un milione di certificati rispetto al mese precedente (dati GME).
La figura 2 riassume la situazione in termini di obiettivi, certificati emessi fra l’1 di giugno e il 31 di maggio di ogni anno, e previsione all’anno successivo. Se nei primi cinque mesi del 2016 venisse emesso un numero di TEE nell’ordine del 2014 (anno record) si arriverebbe in linea con l’obiettivo 2015. Se ci si fermasse al risultato dello scorso anno mancherebbero all’appello un milione e mezzo di titoli circa. Sarà interessante vedere come evolverà la situazione. Più difficile potrà essere il raggiungimento dell’obbiettivo al 2016 per quanto detto all’inizio dell’articolo.
Chiudo ricordando che le osservazioni riportate in questo articolo sono frutto di un’interpretazione dei dati al momento disponibili. Resta comunque interessante sollevare un tema – la capacità dello schema di soddisfare i target fissati – che non è di poco conto parlando dello schema dei TEE, e che evidenzia ancora di più l’opportunità di emanare le nuove linee guida.