Tassonomia europea: i termini del confronto

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L’articolo scritto insieme al vice presidente di FIRE Giuseppe Tomassetti sul tema della tassonomia europea. Vale la pena fare qualche considerazione, per quanto sintetica, su un tema rilevante, affrontato purtroppo in modo poco razionale e gestito in modo non ottimale. Tutto nasce dall’aver voluto dare a uno strumento di facilitazione delle scelte di banche e investitori un ruolo più ampio, a livello di politica. Il rischio è che la tassonomia finisca per diventare un’arma spuntata.

Fra gennaio e febbraio è infuriato lo scontro fra i vari stakeholder sulle decisioni sul tema della tassonomia verde europea; riteniamo opportuno, per utilità dei soci FIRE la cui attenzione sarà probabilmente concentrata sugli aumenti di costo di metano ed elettricità, un richiamo ai termini fattuali del confronto. Tassonomia è una parola di origine greca che indica la classificazione sistematica, impiegata dal XVIII per gli studi di Linneo sulle piante, rispondendo ad un principio ispiratore superiore; nel confronto attuale si tratta di classificare le varie tecnologie energetiche rispetto agli obbiettivi di decarbonizzazione del New Deal. La classificazione della tassonomia non determina se una data tecnologia possa rientrare nel mix energetico degli Stati Membri ma indica le soluzioni che possono utilizzare finanziamenti della UE e delle sue strutture quali la BEI, costituendo una guida per gli investimenti privati.

Nel 2020 la Commissione ha incaricato il Technical Expert Group on Sustainable Finance (TEG) di analizzare quali settori fossero da privilegiare come destinatari degli investimenti della UE. Il TEG ha analizzato 70 diverse attività considerando i loro effetti rispetto a: la mitigazione dei cambiamenti climatici, l’adattamento ai cambiamenti climatici, la protezione dell’acqua e delle risorse marine, la transizione all’economia circolare, la prevenzione ed il controllo dell’inquinamento e la protezione e il recupero della biodiversità e degli ecosistemi.

Il 21 aprile 2021 la Commissione ha adottato un primo pacchetto di misure sulla tassonomia delle attività, da applicare progressivamente per guidare i flussi di capitali. Tale proposta escludeva dalla tassonomia, in linea con le decisioni del TEG, il nucleare e limitava il gas ad impianti con emissioni sul ciclo di vita inferiori a 100 gCO2/kWh, soglia estremamente stringente. 

In seguito alle pressioni dei Paesi nei quali queste fonti hanno una forte rilevanza economica –preoccupati che un’applicazione troppo stringente della tassonomia potesse nel tempo rendere difficoltosi investimenti che essi ritengono fondamentali –, e al parere del Joint Research Centre – che ha definito l’energia nucleare compatibile con le attività sostenibili della tassonomia verde –, la Commissione europea il 2 febbraio 2022 ha pubblicato un atto delegato complementare. Esso ha introdotto nella tassonomia la generazione elettrica da fonte nucleare e ha decisamente ampliato il perimetro di ammissione del gas fossile. Parlamento e Consiglio europeo hanno ora quattro mesi di tempo per sollevare, a maggioranza qualificata, obiezioni, in mancanza delle quali l’atto entrerà in vigore il 1 Gennaio 2023. 

Tutto questo ha fatto gridare allo scandalo non solo le associazioni ambientaliste, ma anche una parte dei rappresentanti della Commissione europea e dei Paesi membri. A nostro avviso comprensibilmente, visto che considerare nucleare e gas come investimenti in linea con i criteri della tassonomia appare forzato. La questione ci sembra però un po’ più complessa e merita un approfondimento.

Come detto la tassonomia non è un regolamento su cosa può essere realizzato e cosa no, bensì un’indicazione agli istituti finanziari su cosa possa essere considerato sostenibile. Il fine, dunque, è quello di facilitare l’individuazione degli investimenti virtuosi per aiutare il mondo del credito a finanziarli, evitando di sprecare risorse su azioni solo in apparenza sostenibili, non quello di bloccare gli investimenti che non sono nella lista (che continuerebbero a potere essere realizzati). L’effetto nel tempo dovrebbe essere quello di promuovere maggiormente le soluzioni più in linea con la decarbonizzazione. 

Sta di fatto, però, che da molti la tassonomia è stata intesa come una politica volta a indicare quali investimenti si potranno fare e quali no nel prossimo futuro, interpretazione che evidentemente ha portato a un approccio molto più negativo verso il provvedimento. Molti Paesi, il nostro compreso, troverebbero infatti difficile attuare una politica sugli investimenti ammissibili basata sulla tassonomia “originaria”. Diversi stakeholder, di fronte all’obiezione che non è questo lo scopo della tassonomia, rispondono – non senza una parte di ragione – che non sarebbe la prima volta che disposizioni di indirizzo “facoltative” diventano obblighi effettivi.

Questo ci ricorda due cose. La prima è che provvedimenti così importanti meritano un maggiore lavoro di illustrazione, chiarimento e “digestione” da parte degli Stati membri e dei vari stakeholder, in modo da ridurre il rischio di interpretazioni diverse da quelle originali. La seconda è che l’Unione europea è purtroppo ben lontana dall’essere un’entità unitaria ed omogenea e la diversità dei punti di partenza dei vari Stati, con le relative implicazioni, andrebbe sempre tenuta in conto, anche nei provvedimenti più “tecnici” come la tassonomia. Con questo in mente, ad esempio, si sarebbe potuta introdurre una tassonomia di transizione aggiuntiva, volta a identificare investimenti assimilabili a quelli “verdi” in un orizzonte temporale breve, in cui inserire nucleare e gas allargato. Ciò avrebbe consentito di salvaguardare la tassonomia “primaria”. 

Disporre di una metodologia codificata e qualificata per il confronto delle conseguenze delle scelte tecnologiche e gestionali, inoltre, può essere uno strumento utilissimo per migliorare la qualità delle pianificazioni, delle valutazioni dei progetti e dell’analisi degli impatti. È però opportuno che sia e rimanga uno strumento di supporto in continuo miglioramento grazie all’uso che se ne fa, all’evoluzione della tecnologia e alle condizioni al contorno, più che un calibro passa-non-passa che il sistema finanziario e le Amministrazioni possano usare per controllare rapidamente la qualità dei progetti. Da questo punto di vista, sarebbe forse stato utile associare alle varie tecnologie dei gradi di sostenibilità, dalle soluzioni dannose a quelle ottimali, permettendo una maggiore adattabilità ai diversi contesti rispetto all’approccio on/off. 

La transizione energetica è una trasformazione complessa e delicata, oltreché costosa. Non intervenire lo sarà di più, secondo molti scenari, ma la maggior parte della gente guarda purtroppo alla spesa, non all’investimento, e occorre tenerne conto per evitare forme di rigetto. Per vincere questa sfida servono collaborazione, sperimentazione e menti aperte al dialogo e all’ascolto, cercando di evitare la trappola degli schieramenti contrapposti che già sta rallentando non poco il processo. Per questo riteniamo che le politiche che saranno introdotte dovrebbero essere improntate alla flessibilità, definendo pochi obiettivi chiari e sfidanti, più che cercare di definire ogni dettaglio del percorso. Da questo punto di vista strumenti come la tassonomia, se opportunamente definiti e aggiornati, possono aiutare a indirizzare nel tempo gli investimenti. È dunque importante che vengano messi a punto in modo corretto e che se ne faccia buon uso.