Comunità energetiche rinnovabili

mappa comunità energetiche

La nuova direttiva sulle fonti rinnovabili pubblicata nel 2018, che sarà recepita quest’anno, promuove l’autoconsumo anche in realtà come i condomini e introduce un nuovo soggetto: le comunità energetiche rinnovabili. Cosa sono? Perché rappresentano un’opportunità interessante per la generazione distribuita? Quali sono le sfide da affrontare? Ne ho parlato nell’articolo seguente, pubblicato su RiEnergia.

L’Italia con la legge 9 del 1991 avviò una trasformazione importante del sistema elettrico, creando le premesse per la diffusione della generazione distribuita, a testimonianza del ruolo di leader svolto dal nostro Paese sul tema. Inizialmente si diffusero i sistemi di cogenerazione, più convenienti e meglio promossi dal provvedimento CIP 6/92 di quelli alimentati da fonti rinnovabili. In seguito, sulla scia di diversi schemi di incentivazione, è toccato alle fonti rinnovabili (anche se non sempre finalizzate all’autoconsumo). Nel giro di trent’anni il cambiamento è stato rilevante: oggi abbiamo il 55% circa della produzione termoelettrica lorda proveniente da cogenerazione (con un rendimento medio di utilizzo dei combustibili del 53% circa) e il 18% del consumo interno lordo coperto da fotovoltaico, eolico e bioenergie (rapporto Terna 2018).

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Efficienza e generazione distribuita: l’era dei prosumer

generazione distribuita

Nei prossimi anni i consumatori avranno sempre più opportunità di divenire anche produttori. Si apre dunque una nuova era per l’autoconsumo e per i cosiddetti prosumer (consumatori/produttori). Per coglierne i benefici occorrono però politiche ben costruite e scelte razionali da parte degli investitori. E un principio fondamentale: energy efficiency first.

L’efficienza energetica e le fonti rinnovabili giocheranno un ruolo primario nel raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Combinate insieme risparmio energetico e generazione in loco con autoconsumo rappresentano  la migliore soluzione possibile, portando benefici al singolo e alla collettività. Presentano però differenze importanti che rendono questa unione non scontata: una diversa complessità (l’efficienza richiede competenze diffuse, ad esempio con gli energy manager, e strumenti mirati, come i sistemi di gestione dell’energia) e target separati (che possono spingere a politiche non sinergiche).

Per conseguire uno sviluppo armonico giocheranno dunque un ruolo essenziale le politiche, da improntare al principio energy efficiency first, e la diffusione di idonei strumenti di mercato (sistemi di gestione dell’energia, modelli di business, accordi volontari, regole di mercato per promuovere l’autoconsumo, etc.). È su questi aspetti che occorre lavorare.

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Demand response e prosumer

full living grid source edie.net

Mi è capitato recentemente di scrivere di demand response – ossia di gestione attiva della domanda di energia – per FIRE e per RIE Energia e ne approfitto per condensare in questo articolo una serie di considerazioni sul tema. Soprattutto se i termini demand response o demand side management non dicono nulla è opportuno comprendere di cosa si tratti, perché nei prossimi anni acquisterà un’importanza crescente sia per gli utenti finali, sia per utility, ESCO ed altri operatori di mercato.

Il demand response è una modulazione della domanda di energia, in aumento o riduzione, al variare del prezzo della commodity. Non è un concetto nuovo, visto che affonda le sue radici nel demand side management di cui si parla da decenni. Una forma base è quella collegata alle tariffe multiorarie, in cui i prezzi differiscono a seconda della fascia (F1, F2, F3) e del giorno (festivo o feriale) di prelievo, introdotte per stimolare gli utenti a spostare i prelievi nelle ore di minore carico e, dunque, minore congestione per la rete e il parco di generazione. Un’altra forma di demand response può essere vista nei contratti di interrompibilità (per il triennio 2018-2020 la potenza impegnata è di circa 4 GW) per i quali un consumatore, tipicamente un grande utente industriale, volontariamente sceglie e si impegna ad una riduzione dei prelievi da rete o al distacco senza preavviso in cambio di un corrispettivo economico piuttosto cospicuo.

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I danni del taglia bollette

Renzi taglia il costo della bolletta del 10%. Rallegratevi ed esultate, perché è l’ennesima dimostrazione di incapacità di affrontare in modo serio i problemi del Paese. Quindici anni di errori nel settore elettrico avrebbero dovuto instillare un minimo di cautela al nuovo Governo, che invece antepone il concetto di fare al buon senso, quasi fosse l’orsetto Duracell di televisiva memoria.

Pubblicato su: www.formiche.net/2014/07/15/i-danni-del-taglia-bollette

Renzi taglia il costo della bolletta del 10%. Rallegratevi ed esultate, perché è l’ennesima dimostrazione di incapacità di affrontare in modo serio i problemi del Paese. Già ho scritto qualche tempo fa di come il 10% si applicherebbe nei disegni governativi alle PMI e che su 425.000 imprese manifatturiere in Italia quelle energivore, ossia quelle su cui il beneficio di tale provvedimento supererà il 3 per mille (!!!), sono 3.000. Considerato che questo “beneficio” si otterrebbe in buona parte a spese di un settore strategico che è quello della generazione distribuita – ossia cogerazione e fonti rinnovabili – e non agendo sull’efficienza degli approvvigionamenti o del mercato dell’elettricità e del gas naturale, in realtà c’è poco da stare allegri.

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