Si può festeggiare il Natale in un anno dominato da chiusure, restrizioni, lavoro che non c’è, morti e separazioni? Si può dare credito ai personaggi e alla storia del presepe quando si è presi da un mix di paura, rabbia o addirittura disperazione?
I miei nonni materni ebbero sette figli, più due nati morti, vissero separati per anni, prima per la guerra, poi per la necessità di lavorare (o meglio, campare, cosa ben diversa dallo stare lontani per seguire la carriera). Lavori duri e umili, tipici di quel periodo per terre lontane dalla ricchezza come il Friuli (che seppe costruirla negli anni del boom). Sapevano adattarsi a qualunque lavoro e qualunque condizione, senza lamentarsi, ma anzi grati di quello che avevano. Venivano da famiglie che nei giorni di festa potevano gustarsi una fettina di salame a testa e tenevano relazioni amabili con tutti. Trasmettevano serenità (beh meglio non vincere con mio nonno a carte, ma con me bambino era diverso…).
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