Il ruolo dell’uso razionale dell’energia post-crisi Covid-19

FIRE Buona pratica settore energetico

Tutti noi abbiamo desiderio di tornare alla normalità, dopo mesi di reclusione e difficoltà. Se l’idea fosse quella tornare alla normalità del “prima”, però, penso che avremmo perso una grande occasione e non usciremo mai da questa crisi, come non ci siamo mai ripresi da quella del 2007-2008. È evidente che il modello di crescita e vita che abbiamo costruito nell’ultimo secolo non è sostenibile. Ha certamente consentito di raggiungere grandi risultati su diversi fronti a livello globale, ma negli ultimi anni ha portato a un aumento delle diseguaglianze e ci ha messi di fronte a cambiamenti climatici dal forte impatto sociale ed economico. È dunque fondamentale uscire dalla crisi con una nuova visione, capace di coniugare sostenibilità e ricostruzione, crescita e uguaglianza. L’uso razionale dell’energia è una delle basi su cui costruire tutto questo e in questo articolo, pubblicato su Qualenergia, cerco di evidenziare che ruolo potrebbe giocare. 

Non è difficile prevedere che la pandemia produrrà una crisi economica e sociale profonda. Troppe sono infatti le attività in difficoltà perché ferme e, in alcuni casi, con prospettive di ripresa magre per l’anno in corso. Così come tante sono le famiglie che si trovano ad affrontare situazioni complicate per problemi economici o per le difficoltà di gestire i figli con le scuole chiuse nel momento in cui torneranno in ufficio. Certamente ci sono anche imprese e famiglie che sono state meno colpite o che addirittura hanno visto un miglioramento della situazione, ma sono solo una parte del tutto. È chissà quanto ci vorrà prima di liberarsi di questo virus. 

L’impatto sul settore energetico delle misure prese per contrastare gli effetti del virus è particolarmente rilevante. Secondo le previsioni appena rilasciate dall’Agenzia internazionale dell’energia (IEA) a livello mondiale è attesa una riduzione di circa il 6% nel corso del 2020 della domanda di energia rispetto al 2019, ma per Europa e Stati Uniti il dato dovrebbe attestarsi nell’ordine del 10%. Carbone e petrolio saranno particolarmente impattati, motivo per cui il calo atteso nel 2020 per le emissioni di CO2 correlate al settore energetico dovrebbe attestarsi intorno all’8% e valere almeno il doppio di tutte le riduzioni presentatesi a seguito della Seconda guerra mondiale sommate insieme. La figura 1 parla da sé della drammaticità del dato.

Figura 1. Variazione annua delle emissioni di CO2 collegate al settore energetico (fonte: IEA).

Di fronte a un tale scenario viene da chiedersi: a che serve parlare di uso razionale dell’energia o di sostenibilità, quando sono ben altri i problemi che la gente e le imprese dovranno affrontare? E se ha senso, come potrebbe aiutarci a uscire dalla crisi? Sono domande importanti, oltreché lecite, cui è difficile dare una risposta compiuta in un articolo, ma proverò ad evidenziare alcuni elementi. 

Per inciso, ho fatto riferimento all’uso razionale dell’energia, ossia alla diffusione combinata di efficienza energetica negli usi finali, fonti rinnovabili e prodotti e servizi a basso impatto energetico e ambientale, in quanto ritengo opportuno riferirsi alla necessità di ripensare l’uso dell’energia in modo olistico e non limitarsi a singoli aspetti. Del resto, quando si parla di transizione energetica e di green new deal non si può prescindere da una visione di insieme, così come essa è indispensabile per sfruttare appieno il potenziale dei benefici non energetici connessi all’uso razionale dell’energia. Si tratta delle ricadute che ne collegano l’uso alle nostre priorità lavorative e famigliari, e dunque cambiano la prospettiva di scelta degli investitori. Fra i benefici non energetici si possono infatti considerare miglioramenti sul comfort, la qualità di vita, la salute, la sicurezza, aumenti di valore degli asset, impatti positivi sulla produttività e sulla struttura rischi e costi supportati per produrre la proposta di valore delle imprese, etc. Consiglio di visitare il sito www.m-benefits.eu per approfondimenti su come quantificarli a livello di impresa e il sito www.combi-project.eu per valutarli a livello Paese per la parte efficienza energetica.

È proprio la presenza di tali ricadute positive a confermare che investire nell’uso razionale dell’energia è una priorità e può aiutarci a superare questa crisi e a ridurre il rischio di affrontarne altre. Non si tratta “solo” di ridurre le emissioni di gas climalteranti e di inquinanti o, per Paesi come il nostro, la dipendenza dall’estero e i relativi costi. Si tratta di costruire un sistema-Paese più sano e resiliente, fondato su un nuovo modo di approcciare la vita. D’altra parte, i trend dei consumi e delle emissioni degli ultimi decenni mostrano chiaramente che con le politiche tradizionali, per quanto spinte, non si raggiungeranno mai gli obiettivi dell’Accordo sul clima di Parigi

Delle indicazioni su cosa fare comunque le abbiamo già. Quanti di noi hanno scoperto che si può lavorare tranquillamente da casa in questo periodo di chiusura forzata? Perché continuare a fare spostare ogni giorno milioni di persone, solo nel nostro Paese, che non ne hanno realmente bisogno? E perché continuare a produrre in Paesi dove costa meno solo per interessi economici e sfruttando le popolazioni locali (del resto se costa meno ci sarà un motivo), invece che pensare a modelli più equi e distribuiti? La rivoluzione sta in cambiamenti come questi, più che in miglioramenti tecnologici, utili ma insufficienti a farci invertire la rotta. Il tema, ad esempio, non è passare dall’auto tradizionale a quella elettrica, ma ripensare le ragioni dietro alla movimentazione di merci e persone. Così come non basta rendere le nostre industrie un po’ più efficienti e dotarle di cogenerazione e fotovoltaico, si tratta piuttosto di ripensare i prodotti e servizi da esse proposte, non più improntati al consumismo selvaggio, e di realizzare filiere più attente all’uso delle risorse e alle ricadute sociali, ossia costruire le basi per una nuova competitività al passo con le sfide dei nostri tempi. In entrambi i casi si otterranno riduzioni dei consumi energetici e delle emissioni ben più consistenti di quelli conseguibili con le politiche dei piccoli passi, con benefici sociali e ambientali maggiori.

Ovviamente rimane fondamentale spingere sull’impiego di soluzioni collegate al tema dell’efficienza energetica, ricordando il principio “prima l’efficienza energetica” alla base del nuovo pacchetto di direttive sul clima e l’energia. Trascurare l’efficienza negli usi finali è infatti facile, in ragione della maggiore complessità e minore attrattività di essa rispetto alle fonti rinnovabili o, peggio, allo status quo. Le politiche dovrebbero essere particolarmente attente a tale riguardo, cercando di indirizzare gli operatori di settore a non scegliere le vie più semplici, laddove siano possibili alternative migliori. Il recepimento delle direttive sulle prestazioni energetiche dell’edilizia e sull’efficienza energetica, peraltro, introdurrà importanti innovazioni.

Le imprese che hanno avuto la fortuna di poter continuare a fatturare dovrebbero sfruttare al massimo la congiuntura favorevole collegata ai bassi prezzi energetici per ottimizzare gli usi energetici e investire in soluzioni più efficienti e fonti rinnovabili. La pandemia accelererà infatti l’importanza di gestire in modo efficace le risorse. D’altra parte, le imprese che invece hanno dovuto interrompere la produzione saranno in difficoltà e l’ottimizzazione dei consumi energetici con l’eliminazione degli sprechi potrà aiutarle. Confidando che possano superare la crisi, sarebbe utile che una parte degli aiuti economici fosse destinata a supportarle per lanciare nuovi prodotti e servizi e/o nuovi processi produttivi e filiere ottimizzate, che pensino seriamente al remanufacturing, ponendo la sostenibilità come condizione prioritaria.

Ho qualche dubbio sull’ipotesi che sta circolando di ecobonus oltre il 100% con cessione del credito agli istituti finanziari. È evidente che in tempo di crisi si può pensare a politiche drastiche con lo scopo di sostenere la domanda, ma una misura del genere, che peraltro non riguarderebbe i condomini, a meno di non mantenerla attiva per 2-3 anni, temo rischi più di creare speculazioni a danno del nostro debito pubblico – peraltro già oltre le soglie di guardia e non so quanto in grado di sostenere queste misure – che non di produrre un sano sviluppo del mercato. Sano sviluppo che richiede tempo e un supporto continuato: l’esperienza dei conti energia fotovoltaici dovrebbe avere insegnato qualcosa. 

Penso invece che si dovrebbe fare di tutto per togliere i lacci e laccioli che impediscono da decenni a questo Paese di crescere, ingabbiando persone e imprese per bene e portando a un uso sempre più inefficiente delle risorse pubbliche e private. Lo so che è più complicato che concedere incentivi mirabolanti, ma è quello di cui abbiamo veramente bisogno e che non a caso tutti chiedono continuamente. Abbiamo due Camere: facciamole funzionare con l’obiettivo della semplificazione. Diamo fiducia alle persone che con il loro ingegno e la loro volontà potrebbero aiutare questo Paese a risollevarsi.  

In sintesi, è di un profondo cambio di mentalità che abbiamo bisogno. Non sarà facile conseguirlo, ma ne va del nostro futuro. Come il compianto Marco Pigni aveva scritto nei suoi profili social: la vita è energia e l’energia è vita, entrambe sono realmente tali solo quando insieme si rinnovano continuamente. E non vi è dubbio che abbiamo bisogno di un profondo rinnovamento, non solo energetico, per affrontare le sfide attuali. 

2 Comments

  1. Ciao Dario, ottimo articolo, penso rispecchi a pieno la situazione attuale e riassuma in poche parole quello di cui abbiamo realmente bisogno adesso, per far ripartire la nostra Italia. Sarebbe interessante sapere cosa ne pensa lei dei provvedimenti del nuovo Piano Colao in merito agli investimenti sulle misure di transizione energetica ( https://www.fornitura-lucegas.com/piano-colao-bioedilizia-rinnovabili/ ). Ci stiamo muovendo verso la direzione giusta?
    La ringrazio

    Giampiero

  2. Buongiorno Giampiero e grazie per il commento. Premetto che il percorso contribuiamo a crearlo tutti noi. E questo mi fa essere fiducioso, perché numerose sono le imprese leader che hanno compreso la strategici dell’uso efficiente delle risorse e hanno intrapreso un cammino serio verso la sostenibilità, portandosi dietro i vari fornitori e subfornitori.
    Il Piano Colao contiene numerosi spunti interessanti. Il problema è che pochi l’hanno letto e nemmeno il Governo che l’ha richiesto gli ha poi dato particolare seguito. La realtà è che non servono piani destinati ad essere più o meno ignorati e disattesi, ma agire sugli aspetti fondamentali. Trovo molto ben scritto al riguardo un articolo di Cassese comparso sul Corriere del 6 luglio, disponibile a questo link (https://www.corriere.it/cultura/premium/20_luglio_05/cascata-regole-semplificare-98f96094-bef5-11ea-8284-a1c7a3d7e6e0_preview.shtml?refresh_ce) per gli abbonati e di cui riporto di seguito uno stralcio.
    “Tutti coloro che finora si sono dedicati con serietà alla semplificazione dello Stato sanno che i punti cardinali sono altri. Primo: semplificare le leggi, quindi creare un centro di valutazione e produzione delle politiche pubbliche, capace anche di tradurle in disposizioni comprensibili, perché più della metà delle complicazioni amministrative dipende dalla pessima fattura delle norme. Secondo: ridurre il numero dei decisori; ad esempio, diminuire il numero delle stazioni appaltanti e sopprimere il Cipe, un organo che sopravvive da troppi anni alla morte della programmazione, di cui faceva parte, e che serve oggi solo a coprire l’invasione di Palazzo Chigi nella gestione della politica economica. Terzo: sopprimere gli incentivi al non fare, derivanti dalla paura degli interventi delle procure, penali e contabili, e dei relativi sosia (ad esempio, Anac). Quarto: dotare l’amministrazione di quei tecnici e manager pubblici che ha perduto da un secolo, e al cui reclutamento sarebbe bene che i ministri della pubblica amministrazione si dedicassero, invece di promettere 400 mila assunzioni – specchietto per allodole. Quinto: invece di cercare tutti i sotterfugi per non fare gare, si facciano le gare, ma senza l’Anac sul collo, in tempi brevi e senza troppi contenziosi. Sesto: si sopprimano tutti i controlli preventivi, concomitanti, collaborativi, per rafforzare quelli successivi, che debbono esser seri e severi, per assicurarsi che i risultati voluti dal Parlamento siano raggiunti. Settimo: adeguare le amministrazioni alla digitalizzazione, non le metodologie digitali alla parcellizzazione degli uffici pubblici, che costringe ancora oggi i cittadini a fare da tramite. Ottavo: non cullarsi al ritmo del «modello Genova», che non è replicabile perché quella era una opera esistente e non è stata finanziata dal Tesoro; gli organi straordinari, quali i commissari, finiscono per produrre intralci. Da ultimo, consiglio ai semplificatori improvvisati di rileggere Michelangelo: «la scultura non è un fare, ma togliere materia». Impariamo a togliere il superfluo.”

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