Qualche considerazione sui TEE

Nell’articolo apparso sul magazine e7 considero tre elementi a mio parere importanti in relazione alla consultazione MiSE sui certificati bianchi: l’andamento insoddisfacente dei risparmi energetici ottenuti nell’ambito dello schema e la revisione del coefficiente di durabilità, la titolarità e la responsabilità sui progetti, e l’equilibrio fra la ricerca della qualità (maggiore rigidità) e lo sviluppo del mercato (maggiore flessibilità). 

Pubblicato su: e7 del 30 settembre 2015.

In questo periodo si susseguono iniziative di confronto e discussione sul tema dei certificati bianchi, in ragione della consultazione del MiSE sulla revisione delle linee guida. L’argomento è molto sentito fra gli operatori e le grandi e medie imprese, visto che lo schema è il principale strumento di incentivazione dell’efficienza energetica in Italia. La FIRE ha contribuito al dibattito con due iniziative: un workshop collegato al progetto europeo ENSPOL e proposto in collaborazione con l’ENEA (atti disponibili su www.fire-italia.org) – in cui tra l’altro sono state condivise indicazioni su come i principali schemi d’obbligo europeo affrontano le tematiche oggetto di consultazione – e il secondo appuntamento dell’osservatorio ENSPOL in collaborazione con il GSE, mirato a approfondire i più importanti elementi oggetto di revisione. Di seguito si offre qualche considerazione su alcuni punti della consultazione.

Conviene partire da un assunto: una revisione delle linee guida è necessaria. Al di là delle diverse ragioni a giustificazione di ciò riportate nel documento del MiSE, un elemento di attenzione è la difficoltà dello schema di produrre risparmi energetici. L’introduzione del coefficiente tau non ha migliorato questo aspetto. Ed anzi i risparmi energetici annui sono calati nel 2013 e 2014 (vedere figura). Simile andamento per i risparmi collegati ai nuovi progetti a consuntivo, con l’eccezione di una crescita più marcata nel 2014. Il costo per tep in sostanza si è più che raddoppiato, con una riduzione dell’efficacia dello schema e un aumento dei costi in bolletta, giunti a 700 milioni di euro, a fronte di un’ipotesi di un miliardo di euro di costo al 2020 riportata nella SEN. Vero è che in questi anni è diventato più difficile presentare progetti per l’evoluzione delle regole (tempistiche di presentazione delle proposte, progressiva riduzione della dimensione media, etc.), ma appare ragionevole mettere in discussione gli aspetti economici.

Le proposte fatte dal MiSE in termini di revisione del tau ne prevedono l’abolizione e sono di due tipi: incremento del numero di anni per cui si ottengono i certificati – cosiddetta vita utile –, con possibilità di parziale anticipo dei risparmi oltre il quinto anno, e mantenimento della vita utile a cinque anni, con introduzione per alcuni interventi di un coefficiente premiante. Quest’ultimo differirebbe dal tau sia per il valore, tendenzialmente dimezzato, sia per il fatto di non essere un anticipazione di risparmi futuri, consentendo di prevedere i controlli sui progetti solo sui primi cinque anni (con le regole attuali si estende a tutta la vita tecnica, ponendo problemi pratici di non poco conto in materia di contenzioso).

Il secondo tema centrale riguarda le responsabilità inerenti ai progetti. In questo caso il MiSE si basa sulle difficoltà riscontrate in questi ultimi due anni in sede di controllo e propone di spostare la titolarità del progetto sull’utente finale (salvo il caso di contratti di energy performance in capo a una ESCO). L’idea di base è evitare che le ESCO coinvolte in progetti di dimensione medio-grande siano chiamate a restituire, in caso di non conformità, quantità di denaro che eccedono le loro capacità economico-finanziarie. Il problema si potrebbe affrontare anche chiedendo idonee garanzie alla presentazione del progetto, con altre problematiche da superare. Seguendo la proposta, una ESCO che non sia coinvolta nella gestione di un progetto avrà un ruolo da consulente e non più da titolare. Sul fronte economico, se la revisione del tau si tradurrà in una riduzione del contributo economico in generale, quest’altra modifica determinerà un’ulteriore diminuzione dei margini per le ESCO (sebbene di minore entità).

Il terzo aspetto riguarda la flessibilità, ed è forse il più delicato. Da un lato abbiamo uno schema che fatica a produrre nuovi risparmi e una proposta di riduzione del numero dei TEE riconoscibili, dall’altro si limita lo spazio di azione degli attori coinvolti. Sono infatti proposti la riduzione della presenza di progetti nel settore civile, l’eliminazione dell’effetto della sostituzione del combustibile per le fonti rinnovabili (che dunque verranno fortemente ridimensionate), la definizione di tempistiche nella presentazione dei progetti più stringenti e il ridimensionamento della bancabilità dei TEE. Forse varrebbe la pena di approfondire i possibili effetti di queste misure, tenendo presente gli obiettivi previsti per lo schema al 2020. Il risultato ottimale si trova a cavallo fra l’esigenza di qualità e la ricerca della quantità, passando per risorse da usare in modo efficiente ed efficace.

Viste le tematiche segnalate, si ritiene quanto mai importante fornire spunti alla consultazione, anche perché il MiSE ha fatto capire in diversi incontri recenti che c’è spazio per proposte alternative, purché soddisfino i criteri generali evidenziati nel documento.