I nuovi orizzonti di efficienza energetica e rinnovabili

Efficienza energetica e fonti rinnovabili sono chiamate ad avere un ruolo fondamentale nella riduzione degli effetti dei cambiamenti climatici. Sempre più sarà richiesto un uso razionale e integrato delle risorse, a partire dall’energia, a tutti i livelli. Le politiche sono chiamate a favorire questa trasformazione di prodotti, servizi e stili di vita, facilitando gli investimenti nel settore attraverso una visione di lungo periodo. Una sfida impervia visti gli interessi in gioco delle parti legate alle fonti tradizionali e la necessità di scrollarsi di dosso il modo di pensare che ci ha accompagnato per decenni, basato sull’ignorare il conto salato che un uso spinto delle risorse avrebbe prima o poi presentato. Di seguito qualche considerazione sulle attuali politiche e sulla necessità di cambiare il modello di governance di questo Paese.

Pubblicato su: Il Pianeta Terra di marzo.

L’accordo sul clima di Parigi ha dato al tema della sostenibilità una veste nuova e, se vogliamo, drammatica: non si tratta più di investire in efficienza energetica, fonti rinnovabili e minori emissioni per migliorare le condizioni ambientali o per anticipare tendenze future, ma di garantire la sopravvivenza al genere umano e di evitare di trovarci di fronte a spostamenti di massa e problematiche geopolitiche mai viste. Quindi la necessità di investire in questi settori è più che mai una priorità, oltreché una sfida. L’efficienza energetica, in particolare, è chiamata a un ruolo determinante, visto che l’Agenzia internazionale dell’energia le attribuisce il 50% dell’obiettivo nello scenario “bridge” del rapporto “Energy and climate change” del 2015.

Gli investimenti previsti per conseguire i risultati auspicati dall’Accordo di Parigi sono nell’ordine dei 36-38 mila miliardi di dollari al 2030. Si tratta di cifre davvero rilevanti, che presuppongono lo sviluppo di nuove relazioni fra gli Stati, di un mix di politiche adeguate, di modelli di business, prodotti e servizi innovativi, e di un approccio all’uso delle risorse differente. Alcuni semi positivi sono già stati piantati da azioni avviate negli ultimi decenni dall’Europa e da alcuni Paesi più sensibili alle tematiche della sostenibilità, nonché da alcune aziende leader di mercato, ma il più è tutto da costruire. Del resto ci troviamo in una difficile fase transitoria, in cui vecchi e nuovi modelli si confrontano aspramente, i primi per cercare di mantenere i loro mercati, i secondi per accelerare la trasformazione.

La Commissione europea ha pubblicato a fine novembre dello scorso anno il cosiddetto “pacchetto invernale” (Clean energy for all Europeans), che propone gli obiettivi al 2030 (30% efficienza energetica, rivisto al rialzo rispetto a due anni fa, 27% rinnovabili, -40% emissioni gas serra) e la revisione delle principali direttive collegate a questi temi, compresa la ridefinizione del mercato dell’energia, profondamente cambiato negli ultimi venti anni, e delle modalità di partecipazione ad esso degli impianti alimentati a fonti rinnovabili o cogenerativi ad alto rendimento.

I target fissati sono secondo molti soggetti poco ambiziosi, soprattutto se confrontati con quanto previsto dall’accordo di Parigi. In compenso si presenta estremamente difficile da raggiungere quello dell’art. 7 della direttiva sull’efficienza energetica, per la quale si propone il prolungamento fino al 2030 del miglioramento annuo dell’1,5% per i singoli Paesi membri (l’obiettivo del 30% è invece riferito a tutta l’Unione, con i singoli Paesi che possono apportare contributi differenti). Questo obiettivo è molto sfidante perché i risparmi energetici conteggiabili sono solo quelli addizionali, ossia non si possono considerare le riduzioni di consumo che si sarebbero comunque ottenute in virtù dell’evoluzione legislativa (requisiti prestazionali minimi, obbligo di adozione di determinate tecnologie, etc.), tecnologica (rendimenti delle macchine odierne usati come baseline di riferimento), e di mercato (adozione spontanea di tecnologie più performanti di quelle imposte dalla legge). L’andamento dei risparmi contabilizzati nell’ambito del meccanismo dei certificati bianchi, che si sono attestati negli ultimi anni intorno ai 2 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio annue contro i 7 Mtep previsti nel 2016 dalle linee guida del 2012, lo dimostra chiaramente.

Le nuove proposte prevedono maggiori sinergie fra efficienza energetica e fonti rinnovabili, e in generale una maggiore attenzione all’uso delle risorse per la produzione di beni e servizi e per il loro utilizzo. Questi sono gli aspetti di maggiore interesse per il futuro: riconoscere i benefici multipli conseguibili attraverso un uso più efficiente e integrato delle risorse e la progettazione di nuovi prodotti, servizi e processi. Occorre imparare a conteggiare non solo il risparmio energetico e l’autoconsumo, ma elementi aggiuntivi che si accompagnano ad essi, quali: maggiore confort, minori emissioni e costi sociali, costi di approvvigionamento e manutenzione ridotti, produttività e competitività delle nostre imprese aumentate, etc. La FIRE insiste da qualche anno su questi aspetti e una recente indagine svolta fra gli energy manager mostra che le imprese cominciano a comprendere i possibili vantaggi di una visione olistica.

Le proposte europee spingono molto sulla riqualificazione degli edifici, un’azione di certo impegnativa nel nostro Paese, visto il clima ben diverso dall’Europa centro-settentrionale. C’è necessità di industrializzare il settore delle costruzioni, tenendo conto dell’edilizia variegata e storica che caratterizza la Penisola, e da qualificare i nostri esperti, progettisti e installatori affinché sappiano usare al meglio le nuove tecnologie e integrare rinnovabili ed efficienza negli immobili. Un tema su cui le associazioni possono offrire un valido supporto.

Da segnalare infine l’art. 6 della proposta di revisione della direttiva sulle fonti rinnovabili: “Fatti salvi gli adattamenti necessari per conformarsi alle norme in materia di aiuti di Stato, gli Stati membri provvedono affinché́ il livello e le condizioni del sostegno concesso ai progetti di energia rinnovabile non subiscano revisioni tali da incidere negativamente sui diritti che ne discendono e sull’economia dei progetti sostenuti”. Purtroppo il danno nel nostro Paese è stato già fatto, non solo con lo “spalma incentivi”. Certo, è difficile pensare di raggiungere i target previsti producendo ricchezza nel Paese senza una visione chiara e un processo legislativo e regolatorio razionale. Non a caso nella Strategia energetica nazionale del 2013 uno dei punti fondanti era la riforma del sistema di governance. Adesso si discute della nuova SEN, ma senza affrontare quel punto in questo Paese il rischio che siano interessanti chiacchiere è elevato.