Lettera al direttore del Corriere della Sera sulla questione rinnovabili

Lettera inviata a Ferruccio De Bortoli il 9 giugno 2013. 

Egregio Direttore,

il Corriere negli ultimi giorni ha affrontato più volte il tema dell’energia, un argomento fondamentale per il futuro del Paese (non solo per la “crescita”, ma anche per garantire dei servizi cui siamo ormai abituati, inclusa la scolarizzazione diffusa).

I diversi giornalisti che hanno partecipato con propri contributi – Taino e Rizzo, in particolare – hanno sollevato una serie di giuste osservazioni, ma può essere utile fornire qualche integrazione, anche per affrontare il tema da una diversa angolatura.

Un primo aspetto, e mi riferisco al pezzo di Taino di domenica 2 giugno e in particolare al titolo, è che gli USA non sono più bravi dell’Europa nel decarbonizzare a basso costo. Semplicemente sono molto più inefficienti nell’uso dell’energia (e quindi nelle emissioni), per cui è ovvio che intervenire costa meno: il consumo in energia primaria pro capite negli States è 2,5 volte quello dell’Europa. Il fenomeno del gas di scisto è comunque importante e anche le tendenze sul carbone in alcuni Paesi europei dovrebbero fare riflettere. Che gli USA si dedichino all’efficienza energetica e alla decarbonizzazione dei combustibili non può che fare piacere; certo se avessero iniziato prima non sarebbe stato male per il nostro Pianeta e sarebbe probabilmente costato meno a tutti in termini ambientali e sociali.

Da questo punto di vista, quel che manca all’Europa è una politica che valorizzi gli sforzi fatti, facendo pagare sui prodotti non ecocompatibili una carbon tax (facile a dirsi, molto meno a farsi, ovviamente). In assenza di questo gli extracosti sostenuti rischiano di produrre più svantaggi che vantaggi, ma ciò non vuol dire che non sia opportuno fare uno sforzo, vista la posta in gioco.

Nell’articolo di mercoledì 5 lo stesso Taino indica come fallimentare la politica di incentivazione sul fotovoltaico. In effetti per come è stata impostata la normativa si è puntato molto sugli impianti a terra con il risultato di installare tanta potenza in poco tempo (alto costo degli incentivi e tecnologia non ottimale), creare problemi ad alcune reti di distribuzione, generare meno occupazione del previsto e dare meno tempo alle imprese di settore per crescere e strutturarsi. Ciononostante non si può parlare di fallimento. Il drastico calo del prezzo di vendita dei pannelli fotovoltaici – oggi possiamo realizzare un impianto a casa a un quarto del prezzo di qualche anno fa -, i gigawatt installati e le aziende impegnate sono stati senza dubbio un risultato importante e un successo. Né ha molto senso dire, tanto per aggiungere un esempio a quelli dell’articolo, che con 6,5 miliardi di euro l’anno di incentivo avremmo potuto muovere investimenti capaci di farci raggiungere l’obiettivo al 2020 sull’efficienza energetica, con ben altri impatti sull’economia nazionale.

Il tema vero – visto che il passato è passato e FIRE è stata fra i pochi soggetti a criticare dall’inizio impianti a terra e incentivi eccessivi – è come valorizzare lo sforzo sostenuto, per evitare che i miliardi chiesti ai consumatori (non a tutti, però, come fa notare Rizzo nell’articolo di giovedì 6) finiscano per diventare uno spreco a tutti gli effetti. A tal fine bisogna consentire al fotovoltaico di continuare a crescere, tanto ormai gli incentivi sono terminati (vedi notizia sul Corriere di venerdì 7). Ciò consentirà di capitalizzare i benefici conseguiti in termini di riduzioni dei costi della tecnologia e di imprese attive. Altrimenti ci troveremo solo con una serie di cadaveri di imprese (non quelle che hanno speculato nei tempi d’oro, ormai al sicuro) e con una pesante tassa annua da pagare sulle tariffe.

Giusto per dovere di cronaca, nell’articolo di giovedì di Rizzo c’è un errore nei conti: secondo l’Autorità per l’energia il costo annuo per l’utente residenziale medio degli oneri di sistema è di 93 euro (circa il 20% di una bolletta di 516 euro), e non 230 euro. In altri termini sono 34 euro al MWh, confrontabili con i 20-30 euro/MWh di costi sociali che ExternE assegnava alla generazione elettrica a gas per l’Italia. Dunque un onere che in buona parte è coperto dai costi sociali evitati. Sono molto più gravi gli sconti agli utenti energivori (e alle altre categorie indicate nell’articolo di Rizzo) che non portano alcun beneficio, frenano le aziende dall’investire in efficienza degli impianti (cosa che risolverebbe strutturalmente il problema), diventano un sussidio permanente (che se viene tolto crea sfracelli, come insegna il caso Alcoa) e aumentano il peso degli oneri di sistema sulle altre categorie.

Una considerazione su ciò che è stato: conviene andare oltre la contrapposizione fra termoelettrico e fonti rinnovabili. Il termoelettrico è in crisi per avere installato 76 GW di potenza – che uniti ai 20 GW circa di idroelettrico e geotermoelettrico (a cui si stava per aggiungere un po’ di nucleare, tanto per acuire le problematiche) superano ampiamente i 56 GW del picco annuale – e non per colpa degli incentivi alle rinnovabili, la cui crescita era comunque da mettere in conto visto il protocollo di Kyoto, il Pacchetto europeo clima-energia e l’andamento del mercato globale. In sintesi possiamo dire tranquillamente che gli ultimi dieci anni di politiche e realizzazioni energetiche nazionali sono un esempio di sprechi e investimenti poco accorti sotto tutti i punti di vista. Ma il passato è passato (salvo eventuali problematiche giudiziarie, ovviamente) e continuare a fare gli aspiranti allenatori del lunedì mattina non porta giovamento (mi riferisco alle lobby e agli esperti di settore).

Qualche considerazione per il futuro.

Il fotovoltaico – che rischia di acquisire ingiustamente una cattiva nomea a causa delle politiche nazionali sbagliate – è una tecnologia positiva e utile, da installare sulle utenze, la cui non programmabilità può e potrà sempre più essere alleviata con i sistemi di accumulo, se necessario. Penso che i giornalisti dovrebbero aiutare i lettori a distinguere fra colpevoli e innocenti, per non rischiare di buttare il bambino con l’acqua sporca.

Le generazione tradizionale continuerà ad avere un ruolo fondamentale per la stabilità della rete e la generazione quando idroelettrico, fotovoltaico ed eolico sono in pausa. L’Italia ha una parco termoelettrico molto efficiente di cui può vantarsi (e che sarà sempre più costoso da usare). Si tratta di una trasformazione epocale di cui ancora è difficile comprendere appieno gli effetti, non solo tecnici.

La politica e la regolazione devono accompagnare questa transizione da una generazione centralizzata prevalentemente fossile ad una diffusa prevalentemente rinnovabile con un’adeguata modifica delle regole per passi successivi. Tornare indietro, come in sostanza chiedono alcune voci, sarebbe un suicidio.

In un Paese come il nostro, che importa l’85% circa di energia dall’estero, efficienza negli usi finali e fonti rinnovabili sono infatti un must e vanno sostenute. Il supporto non deve essere necessariamente un incentivo all’installazione. Anzi, nel tempo è giusto orientarsi verso un contributo all’informazione, alla qualificazione degli operatori e alla ricerca e innovazione.

Il fatto che esistano a tal fine gli oneri in bolletta è positivo. Se fossero passati alla fiscalità generale renderebbero ingestibili tutti gli incentivi (che peraltro non mancano, in altre forme, per le fonti tradizionali). L’energia elettrica è un bene prezioso, ed è giusto valorizzare sul suo prezzo i costi di efficientamento e miglioramento del sistema stesso. L’importante è che paghino tutti.

Il sistema energetico è complesso e delicato. La liberalizzazione ha aperto le porte a tutti sul fronte della generazione, ma occorre monitorare il sistema e modificare le regole nel tempo in modo che la trasformazione non si traduca in problemi di affidabilità del sistema. È essenziale che non vengano prese decisioni politiche emozionali e che si ragioni insieme a chi il sistema lo comprende. Questo implica che le lobby avverse dovrebbero sedersi a un tavolo e collaborare, rinunciando a parte degli interessi di parrocchia.

Termino osservando che l’esperienza delle politiche energetiche passate conferma che il Paese ha bisogno di leader pubblici e privati che mettano da parte egoismi e ricerca di facili risultati (o, per dirla in altri termini, che sappiano combattere quella corruzione dei cuori di cui parla, sempre sul Corriere di giovedì, Calabrò) e sappiano trovare i giusti consiglieri per affrontare le difficili sfide che ci attendono.

Confidando nella possibilità di avere uno spazio, le invio i più cordiali saluti,

Dario Di Santo, Direttore FIRE – Federazione italiana per l’uso razionale dell’energia

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