Chiedo scusa ai lettori se ho trascurato il blog negli ultimi mesi. Purtroppo ho avuto molto da fare e non mi è riuscito di riportare qui le tante attività svolte. La transizione ecologica comincia con l’efficienza energetica: questo articolo, di recente pubblicato sul quotidiano Il Roma, spiega perché il nuovo governo Draghi deve farne una priorità e quali opportunità sono oggi disponibili per famiglie e imprese. Di come l’efficienza energetica sia una risorsa in ottica covid-19 ho invece parlato in questo articolo.
L’efficienza energetica: una priorità per la transizione ecologica
Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, l’efficienza energetica è uno dei due pilastri della decarbonizzazione dell’economia, insieme alle fonti rinnovabili: il contrasto ai cambiamenti climatici, vitale per le nostre economie già duramente provate dalla pandemia, non può che passare per un uso più accorto ed intelligente delle risorse energetiche. Si tratta di una priorità ben compresa dalla Commissione europea, che non a caso ha basato sulla sostenibilità buona parte del Programma di ripresa e resilienza e ha lanciato il green deal proprio all’avvio della presidenza von der Leyen.
Una priorità che Draghi, nel suo discorso per la fiducia al Senato, sembra confermare per il documento programmatico italiano, in continuità con il precedente governo, senza però citare l’efficienza energetica. Niente di male, se tale dimenticanza rimarrà confinata al discorso citato e non si tradurrà in una debolezza programmatica nei prossimi mesi.
Del resto, laddove non si riuscissero a ridurre i consumi attraverso l’uso razionale dell’energia nei prossimi anni, occorrerebbe incrementare la quota di sostituzione delle fonti fossili con le fonti rinnovabili. Si tratta però di una soluzione sconsigliabile per diversi motivi: sarebbe più costosa, metterebbe ancora più pressione sui processi autorizzativi e sull’utilizzo di suolo, coinvolgerebbe meno le imprese nazionali sul fronte della produzione delle soluzioni tecnologiche richieste e sarebbe energeticamente meno efficiente (l’energia non richiesta non solo non deve essere prodotta, ma non deve nemmeno circolare sulle reti di distribuzione).
Cos’è l’efficienza energetica
Ma cos’è l’efficienza energetica? Si possono trovare diverse definizioni, ma il significato è abbastanza ovvio: consumare meno energia a parità di servizio energetico erogato (illuminazione, riscaldamento, raffrescamento, produzione aria compressa o vapore, alimentazione dispositivi e processi, etc.) o incrementare il servizio a parità di consumo. L’idea è dunque usare al meglio la risorsa energetica, che non solo è preziosa in un Paese come il nostro che ha una dipendenza dall’estero nell’ordine dell’80%, ma è responsabile, attraverso il processo di combustione, di emissioni climalteranti e anche di emissioni nocive (e.g. ossidi di azoto, polveri, etc.).
Una migliore efficienza energetica si ottiene:
- eliminando gli sprechi di energia (e.g. luci o climatizzazione accese in locali vuoti);
- riducendo il consumo in stand-by (e.g. con prese intelligenti che disalimentano utenze secondarie quando non richieste);
- ottimizzando l’uso degli impianti energetici (e.g. attraverso sistemi di automazione);
- sostituendo le tecnologie esistenti con altre più prestazionali (e.g. una caldaia tradizionale con una a condensazione o con una pompa di calore) e riducendo il fabbisogno di edifici ed impianti (e.g. coibentando l’involucro edilizio e cambiando gli infissi).
In FIRE preferiamo parlare di uso razionale dell’energia, perché tale definizione ricomprende anche l’impiego di fonti rinnovabili (FER) in sostituzione di quelle fossili, l’adozione di prodotti e servizi in grado di ridurre l’impiego di energia sul ciclo di vita, quindi anche nelle fasi di uso, e il cambiamento comportamentale (e.g. lo smart working al posto del lavoro in ufficio, per fare un esempio in linea con questo periodo di restrizioni da corona virus).
I benefici dell’efficienza energetica
Gli interventi di efficientamento energetico non portano solo benefici energetici (il risparmio energetico) con la conseguente riduzione delle bollette energetiche, ma anche ricadute positive di altro tipo (ad esempio per l’ambiente, la salute, il comfort, la sicurezza e la produttività). Questi benefici possono essere stimati a livello di Paese (e.g. https://combi-project.eu) e della singola impresa/ente (https://www.mbenefits.eu) e fanno comprendere come i risparmi energetici siano solo la punta dell’iceberg. Non a caso l’efficienza energetica è anche l’arma principale per contrastare la cosiddetta povertà energetica, ossia la situazione in cui famiglie in difficoltà economica non possano usufruire di servizi fondamentali come il riscaldamento e il raffrescamento estivo (quest’ultimo soprattutto per gli anziani nelle grandi città). Un tema che la crisi sta ahimè rendendo più attuale.
Proprio in virtù di queste ricadute collegate al proprio core business, per le imprese l’uso razionale dell’energia sarà negli anni a venire sempre più una leva per migliorare la competitività, agendo sulla proposta di valore dei propri prodotti e servizi, sulla filiera e sui processi. Sapere proporre ai propri clienti prodotti che consumano meno, producono meno rifiuti e durano di più, spediti in confezioni ottimizzate, creati con meno risorse e sfruttando meglio scarti e residui, valorizzando le risorse locali e rinnovabili sono alcuni dei principi che i leader di mercato hanno iniziato a fare propri – con profitto – per rafforzare la propria posizione di mercato. Un approccio sostenibile che garantisce anche un accesso più facile ed efficace alle risorse economiche necessarie per finanziare progetti e capitalizzazione (e.g. green bond, indici di borsa sostenibili come il Dow Jones Sustainability Index, revisione europea della tassonomia sulla finanza sostenibile ai sensi del regolamento 2020/852).
Il principio: prima l’efficienza energetica
Nonostante questo, l’efficienza energetica viene spesso dimenticata. Essa è infatti più complicata da comprendere e gestire e meno accattivante di altri investimenti, ad esempio quelli FER nel settore energetico, e poco aiuta che sia più conveniente in termini di costo efficacia. Inoltre, a tutti noi piace poco mettere in discussione le nostre abitudini di consumo, anche quando sono poco comprensibili (e.g. ambienti tenuti a temperature troppo calde d’estate o troppo fredde d’inverno), se non dannose. Il rischio, tutt’altro che peregrino viste le esperienze passate, è che tutti si concentrino sulle rinnovabili (policy maker, imprese e professionisti, media) e che l’uso razionale dell’energia rimanga a svolgere il ruolo di Cenerentola, con le conseguenze negative del caso.
Per questo nel pacchetto energia clima la Commissione europea ha introdotto il principio prima l’efficienza energetica (energy efficiency first), che può essere declinato in due modi. Ai policy maker richiede di verificare che ogni politica collegata all’energia sia scritta in modo da favorire l’efficienza energetica e assicurare che sia adeguatamente promossa (e.g. riconoscere le agevolazioni alle imprese energivore purché si dotino di un sistema di gestione dell’energia, collegare l’introduzione dei nuovi contatori intelligenti a una fatturazione e a informazioni fornite ai consumatori che aiutino a comprendere il livello dei loro consumi, promuovere incentivi per le FER che promuovano l’autoconsumo in loco e premino la riduzione dei consumi, etc.). Per gli operatori di settore e i consumatori significa assicurarsi di affrontare il tema energetico in modo integrato, mettendo a punto un piano di azione che preveda l’impiego congiunto di soluzioni per ridurre i consumi e per sfruttare le rinnovabili (sia singolarmente, sia nell’ambito delle comunità energetiche).
Il principio prima l’efficienza energetica assicura uno sviluppo armonico ed efficiente del sistema energetico, con la massimizzazione delle ricadute sociali. Ed è per questo che è importante che il piano nazionale di ripresa e resilienza ne tenga adeguatamente conto. E veniamo con ciò alla situazione nel nostro Paese.
L’efficienza energetica in Italia
Storicamente l’Italia è stato un Paese leader a livello mondiale in relazione all’efficienza energetica. Lo testimoniano il valore basso dell’intensità energetica, ossia dell’energia consumata per unità di PIL, per la quale l’Italia è il quinto Paese al mondo, superato solo dal Regno Unito fra i Paesi del G20 (peraltro caratterizzato da un’economia basata sui servizi), e classifiche come l’International Energy Efficiency Scorecard pubblicato dall’American Council for an Energy-Efficient Economy (ACEEE), in cui l’Italia negli ultimi anni ha stabilmente occupato la prima posizione o comunque il podio.
Ciò non toglie che ci sia molto da fare e che raggiungere gli obiettivi futuri sia tutt’altro che semplice. Anzitutto perché il costo specifico degli interventi, ossia le risorse necessarie per produrre un risparmio energetico unitario, tende ad aumentare nel tempo: raccolti i frutti più maturi tocca prendere la scala per raggiugere i rami più alti. Inoltre, le politiche europee spingono molto sugli edifici e sulla riqualificazione profonda, un intervento ad alta intensità di capitale e con tempi di ritorno molto lunghi, dunque possibile solo con risorse pubbliche rilevanti e con un’immobilizzazione di quelle private di media-lunga durata.
Le opportunità per famiglie e imprese
Va detto che al momento ci sono grandi opportunità per investire in questo ambito. Non solo c’è il superbonus, che offre il 110% di detrazione, sebbene con vincoli sul miglioramento di due classi energetiche e sulla realizzazione di almeno uno degli interventi trainanti (i.e. coibentazione dell’involucro edilizio ed efficientamento della centrale termica), ma il bonus facciate e l’ecobonus sono sempre disponibili e ora possono beneficiare anche essi di cessione del credito e sconto in fattura. Questo significa che viene superato il principale limite delle detrazioni fiscali, ossia il dovere anticipare tutta la spesa aspettando poi di recuperarla nei dieci anni successivi. Un’opportunità da sfruttare, privilegiando le soluzioni efficaci, non cercando a tutti i costi di accedere al 110%, e senza dimenticare il sisma bonus.
Nel terziario il superbonus non c’è, ma c’è l’incentivo del conto termico a promuovere diversi interventi. Ed è possibile ridurre in modo rilevante i consumi energetici, migliorando nel contempo il comfort negli edifici, mediante sistemi intelligenti di building automation. I migliori garantiscono notevoli risultati con tempi di ritorno degli investimenti molto interessanti.
Noi suggeriamo inoltre di non perdere di vista l’industria, dove è possibile intervenire in modo economicamente più efficace, sostenendo il rafforzamento di un comparto fondamentale per l’Italia come quello manifatturiero. Peccato che i certificati bianchi, il principale strumento di supporto, attenda ancora il fondamentale decreto di rilancio, fermo da mesi al Ministero dell’ambiente.
In merito ai trasporti, l’altro settore al centro dell’attenzione nel prossimo decennio, è importante non limitarsi a vedere la transizione come la semplice sostituzione di mezzi alimentati a combustibili fossili con altri elettrici, ma stimolare nuovi stili di vita ed approcci alla mobilità. Smart working e intermodalità basata su mezzi pubblici o in sharing possono portare miglioramenti decisamente più consistenti del solo cambio veicoli.
In conclusione, tutti noi possiamo contribuire a migliorare l’uso dell’energia, non solo con interventi tecnologici, ma anche con comportamenti e stili di vita più sostenibili. Oltre a cooperare alla decarbonizzazione, ci troveremo con bollette più leggere, in ambienti più confortevoli e in imprese più competitive.
Buongiorno,
chiedo chiarimenti in merito alla frase “riconoscere le agevolazioni alle imprese energivore purché si dotino di un sistema di gestione dell’energia”.
Attendo un gentile riscontro. Grazie mille!
Buongiorno,
mi scuso per la risposta non rapidissima.
L’idea alla base della proposta è semplice e mutuata da quanto realizzato negli scorsi anni in Germania: al fine di poter accedere alle agevolazioni previste sulle forniture di elettricità e gas per le imprese energivore, queste devono dotarsi di una certificazione ISO 50001 (a breve saranno tra l’altro disponibili anche la ISO 50005, pensata per le PMI, e la ISO 50009, pensata per certificazioni a livello di distretto industriale o gruppo di imprese, norme che rendono una proposta del genere fattibile anche per imprese di dimensioni limitate). In questo modo si potrebbero coniugare due esigenze: quella di assicurare che le imprese energivore – ossia quelle caratterizzate da alti costi dell’energia rispetto al fatturato – possano rimanere competitive rispetto ai concorrenti esteri usufruendo di tariffe contenute e quella di garantire che investano nel tempo nell’efficienza energetica rispondendo alla sfida della transizione ecologica. Il rischio, altrimenti, è che la riduzione dei costi energetici sfavorisca gli interventi di miglioramento dell’uso energetico, contrastando una delle due leve di competitività che le imprese hanno.
Dotarsi di un sistema di gestione ISO 50001 è a mio avviso preferibile a obblighi come quello di realizzare gli interventi identificati nelle diagnosi energetiche obbligatorie per diversi motivi: porta l’impresa a gestire l’energia in un’ottica di miglioramento continuo, lascia totale libertà su quali interventi realizzare e, soprattutto, favorisce nel tempo un cambio di mentalità che aiuta l’impresa a comprendere meglio le opportunità legate alla sostenibilità e al ripensamento del proprio core business in tale ottica.
Ovviamente è solo una proposta, sostenuta da FIRE peraltro da anni, non la realtà…
Spero di avere chiarito i suoi dubbi.
Grazie a lei per il commento!