La politica energetica degli sconti in bolletta

Nonostante le previsioni della Strategia energetica nazionale nel nostro Paese si continua a porre l’attenzione al tema degli sconti in bolletta, diventati peraltro uno dei punti programmatici di Renzi, arrivando addirittura alla proposta di misure retroattive per il fotovoltaico. Ne vale la pena per un beneficio davvero modesto?

Pubblicato su: Quotidiano energia.

Dopo mesi di consultazione l’Italia si è dotata lo scorso anno di una Strategia energetica nazionale (SEN) con il D.M. 8 marzo 2013. Un provvedimento ardito in un Paese in cui si passa il tempo a disfare e rifare tutto, nell’ipotesi di base che chi ha agito prima comunque abbia fatto male. Purtroppo, a parte le citazioni in interventi di vario genere, la SEN non gode di particolare attenzione. Prendiamo i punti 1, 3 e 4 del documento: la prima delle priorità è l’efficienza energetica, accompagnata dallo sviluppo delle rinnovabili e dalla riforma del mercato dell’energia.

Peccato che la pratica si scosti da tali intenzioni. I temi che infatti hanno ricevuto attenzione in campo energetico negli ultimi mesi sono: una bozza di recepimento della direttiva sull’efficienza energetica con qualche spunto lodevole, ma meno coraggiosa di quanto la priorità 1 della SEN facesse intendere, attenzione incentrata sugli “sconti in bolletta” e sulle esenzioni per gli energivori, diverse decisioni avverse alle fonti rinnovabili (e al fotovoltaico in particolare), non ultima quella – per ora solo sulla carta – dello “spalma incentivi” obbligatorio, il capacity payment.

Sebbene l’idea di tagliare il costo della bolletta sia di per sé lodevole, ciò risulta di reale vantaggio per il Paese solo se collegato a interventi strutturali che consentano di ridurre i costi della generazione e della distribuzione dell’energia. La politica sugli sconti in bolletta finora promossa si è invece caratterizzata per l’idea di trasferire alcuni costi da una categoria di soggetti a un’altra, con dei dubbi benefici sistemici (anche perché lo sconto riduce l’interesse all’efficienza energetica).

L’idea dello “spalma incentivi” obbligatorio va però oltre tutto questo, perché si tratta di una misura retroattiva sui benefici assegnati negli scorsi anni agli impianti fotovoltaici attraverso lo strumento del conto energia. L’idea è di ridurre l’incentivo annuo promesso per venti anni, in ragione dell’energia generata, ai produttori di energia fotovoltaici, aumentando gli anni di riconoscimento a ventisette. In questo modo calerebbe il peso annuo degli oneri di sistema (anche se si dovrebbero pagare per più anni) e si avrebbe uno sconto in bolletta.

Vista dal punto di vista dei produttori fotovoltaici colpiti dal provvedimento, l’idea non può che fare male. Dando per scontato che la somma erogata complessivamente, opportunamente attualizzata, sia costante, i produttori interessati dovrebbero rivedere tutti i contratti in essere con le banche, i fornitori di servizi e, in molti casi, i proprietari dei terreni o dei tetti locati. Inoltre sarebbe da rivedere una parte delle autorizzazioni rilasciate agli impianti da parte delle amministrazioni coinvolte. Il tutto in contemporanea e moltiplicato per migliaia (o anche decine di migliaia a seconda della taglia colpita)1 di impianti. Ovvio che non sarebbe un’operazione né scontata, né indolore, e che i costi economici e sociali connessi non sarebbero trascurabili.

Ciò premesso, la domanda che ci si pone è: cosa spinge il Governo anche solo a pensare a una misura retroattiva, che va a ledere i diritti acquisiti dai produttori e che presumibilmente si tradurrebbe in contenziosi legali, oltreché in una perdita di credibilità del sistema Paese?

Non per il beneficio economico in termini di riduzione dei costi per le famiglie. Con lo spalma incentivi per il fotovoltaico, facendo due conti veloci e applicandolo a tutti gli impianti realizzati, considerato che ripartire l’incentivo su 27 anni potrà portare un taglio dello stesso di circa il 15% annuo – ipotizzando un tasso di attualizzazione del 5% e non conteggiando i costi di rinegoziazione che i produttori dovranno sostenere –, gli oneri potranno scendere di circa 500-1.000 milioni di euro, a seconda che si consideri solo il secondo conto energia o tutti i conti energia erogati negli ultimi anni2. Ossia un 3-7% degli oneri di sistema, che all’utente domestico, ammesso che venga coinvolto nel beneficio, porteranno 1-2 €/MWh.

Non per il beneficio economico in termini di riduzione dei costi per le imprese. Conti alla mano, in Italia la bolletta risulta più alta che in altri Paesi più che altro per le PMI, perché famiglie e grandi consumatori non sono messi così male. Dunque dovrebbero essere le PMI le principali destinatarie in positivo del provvedimento. Peccato che su 425.000 imprese manifatturiere3, quelle energivore, per le quali il costo dell’energia incide su almeno il 3% del fatturato, siano meno di 3.0004. Per più di 422.000 aziende il beneficio sarà dunque inferiore all’1 per mille  – 3% di incidenza massima per 1% di sconto massimo, ottenuto moltiplicando un 20% di incidenza degli oneri di sistema per il 3-7% prima calcolato –, un valore che difficilmente rende competitiva un’impresa.

Introdurre una misura retroattiva che causerebbe difficoltà a un numero di soggetti ipotizzabile fra le migliaia e le decine di migliaia e causerebbe un’ulteriore perdita di credibilità per il Legislatore a fronte di un simile beneficio appare francamente discutibile.

Può infine essere utile chiedersi se l’unico problema siano gli oneri di sistema, visto che si parla sempre di questa componente. Può essere interessante allo scopo dare un’occhiata alle voci di costo che compaiono nella bolletta degli utenti residenziali. La figura mostra l’andamento delle diverse componenti dal 2004 ad oggi. Considerando i valori in vigore ad aprile 2014, al costo finale per l’utente (190 €/MWh) contribuiscono:

  • il costo dell’energia (componente PE, 71 €/MWh);
  • il costo del dispacciamento (14 €/MWh, che sommato a PE dà la componente PED, 86 €/MWh);
  • la componente di commercializzazione (8 €/MWh);
  • le tariffe di trasporto e distribuzione (30 €/MWh);
  • gli oneri di sistema (41 €/MWh);
  • le imposte (8 €/MWh);
  • l’IVA (17 €/MWh).

prezzo energia elettrica nel residenziale

Un primo elemento su cui porre attenzione è che la componente PE ha un valore superiore di 25 €/MWh rispetto al PUN, il prezzo unico nazionale di borsa dell’energia elettrica, un distacco imbarazzante. Il grafico allegato mostra tra l’altro come questa differenza (area gialla) esista a partire dal 2009, perché in precedenza PE e PUN tendevano, correttamente, a sovrapporsi. Vero è che 4-7 €/MWh sono dovuti al fatto che il profilo di consumo del residenziale è concentrato nella giornata, quando il prezzo dell’energia è leggermente più alto, ma anche togliendo questo contributo rimangono 18-21 €/MWh su cui converrebbe concentrare l’attenzione prima di pensare agli oneri di sistema, i quali in realtà degli effetti positivi li stanno portando. Del resto anche le altre componenti di prezzo presentano tutte valori che sarebbe interessante potere ridurre.

Se il mercato elettrico fosse gestito in modo efficiente, infatti, gli utenti potrebbero beneficiare da subito di una buona parte dei 23 €/MWh di riduzione del PUN che si sono avuti da dicembre 2013 ad oggi e che sono stati causati in buona parte proprio dalla crescente presenza delle rinnovabili nel nostro mix produttivo5. Un valore che, nemmeno a farlo apposta, corrisponde proprio al 10% di sconto in bolletta promesso da Renzi.

Quello elettrico è un sistema complesso, e ognuno può immaginare soluzioni differenti ai problemi esistenti, ma concentrarsi solo su una voce e su politiche ridistributive non appare saggio. Riuscire  a diminuire l’impatto degli oneri di sistema sarebbe ovviamente lodevole, ma si ritiene che abbia senso qualora si riesca ad ottenere senza misure retroattive. Meglio sarebbe a tale proposito un bond dedicato mirato a spalmarne il costo su più anni, che non avrebbe conseguenze sui produttori di energia rinnovabile, ma i costi aggiuntivi legati alla gestione dello stesso e alla remunerazione dei sottoscrittori suggeriscono comunque un’accorta analisi costi-benefici.

Il futuro dell’Italia, vista la sua dipendenza energetica dall’estero superiore all’80%, dovrebbe passare per una sempre maggiore diffusione dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili. Soluzioni che, rispetto agli sconti in bolletta, hanno il vantaggio di movimentare la filiera dei servizi e dell’industria, di dare occupazione e di portare vantaggi ambientali e sociali (riduzione delle esternalità negative). Con tutti i soldi spesi sulle rinnovabili elettriche, e sul fotovoltaico in particolare, la cosa più sciocca da fare e non sostenerne oggi la crescita, per far sì che gli oneri di sistema siano effettivamente stati un investimento.

Note
1 Gli impianti sopra 1 MW di potenza al 31 marzo 2014 erano 1.132. Quelli fra 200 kW e 1 MW: 11.081. Quelli sotto i 200 kW: 538.102. Dati: GSE.
2 Gli impianti fotovoltaici in totale costano 6,7 miliardi di euro l’anno. Quelli incentivati dal 2° conto energia 3,3 miliardi di euro. Le altre fonti rinnovabili 5,0 miliardi di euro. Gli oneri generali in tutto 13,8 miliardi di euro. Dati GSE e AEEGSI.
3 Fonte: Istat, Rapporto sulla competitività dei settori produttivi, 2014.
4 Fonte: Cassa conguaglio settore elettrico, Elenco energivori, aprile 2014.
5 Secondo i dati del GME a marzo 2014 il 44% dell’energia elettrica è stata prodotta da fonti rinnovabili. L’anno scorso era stato il 36%.

8 Comments

  1. Bel pezzo, complimenti. Bisogna spostare la battaglia, dalla contabilità da lavandaia attuale (tutta retorica e disinformazione) ai veri nodi di sistema. Il prezzo dell’energia deve trasmettere segnali di prezzo corretti agli operatori ed ai consumatori: deve riflettere la dinamica fondamentale della domanda/offerta e deve incorporare la sostenibilità delle fonti. Bisogna: 1) Riformare la tariffa bioraria 2) introdurre una carbontax che rilevi gradualmente il posto della A3 (anche retroattivamente, dato che sarebbe ad effetto nullo sui produttori) spostando l’onere del bilanciamento delle fonti verso i produttori da fossili e gli altri generatori di esternalità, invece che sui consumatori. Ovviamente ricadrebbe sui consumatori, ma per via indiretta. Gli effetti sarebbero che si alzerebbe il costo della componente energia (quando non è 100% da rinnovabili), e si abbasserebbe (di più, dato che la Carbon tax incide anche su altri attori che non scaricano in bolletta i loro costi) la componente “oneri di sistema”.
    Inoltre avrebbe un moderato effetto inflattivo (che di questi tempi non guasta).

    Magari ci faccio anche io un post. Ciao.

  2. Capisco che non si possano ridurre gli incentivi ormai decisi per le rinnovabili (solo le leggi relative ai lavoratori possono essere cambiate anche retroattivamente – es. Legge Fornero), ma almeno si dovrebbero escludere gli impianti rinnovabili incentivati dalla possibilità di partecipare alla Borsa dove offrono a 0 Euro/MWh (tanto sono già incentivati dal GSE anche fino a 400 Euro/MWh) deprimendo i prezzi e comunque lucrando anche su questo mercato (grazie alla fissazione del prezzo su quello marginale: anche chi ha offerto a 0, ottenendo un dispacciamento certo, poi si becca i 50-60 Euro/MWh medi del prezzo di Borsa).

  3. Non capisco bene Edoardo Beltrame, intanto la priorità di dispacciamento è prevista dalle Direttive Europee ed ha il senso che la produzione di energia da fonti rinnovabili, dato che non inquina e contiene le emissioni climalteranti (contribuendo al raggiungimento di obblighi internazionali assunti), deve essere consumata per prima. Poi la stragrande maggioranza della energia venduta in borsa lo è dal GSE. Infine, gli impianti da rinnovabili, almeno quelli con combustibile 0, farebbero comunque un prezzo inferiore; a loro stare fermi o produrre non comporta costi variabili (dato che hanno quasi solo costi fissi).

    Comunque, fermo il principio di cui sopra (che non è revocabile, sarebbe assurdo fermare un impianto eolico che non inquina e non consuma risorse, una volta che c’è, per far produrre energia ad una centrale a carbone), se porto fuori della borsa le rinnovabili ottengo lo stesso risultato: la potenza contendibile cala. Cioè: prima uso le rinnovabili e dopo, per la potenza residua, vado in borsa. Quindi applico il prezzo ottenuto a tutti.
    Se, invece, vuoi dire che le rinnovabili devono regalare l’energia, questa è un altro modo per violare retrospettivamente i contratti. Ancora peggiore, in effetti, perché un simile principio distrugge in radice la possibilità di essere competitive senza incentivi.
    Perché dovrei fare energia per regalarla?

    1. a me sembra invece che quanto ho scritto sia abbastanza chiaro: non sono contro le rinnovabili né contro la riduzione degli incentivi, anche se il 60% degli stessi finisce al 4% dei produttori ed è uno scandalo!
      il sistema va rivisto in toto perchè molti errori sono stati fatti e per il consumatore non è cambiato nulla.
      vediamo quello che decideranno di fare.

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