La nuova direttiva sull’efficienza energetica

Nel 2010 la Commissione europea ha preso atto di uno scostamento cospicuo fra i risultati conseguiti dai Paesi membri in tema di incremento dell’efficienza energetica e l’obiettivo del 20-20-20, tanto da individuare in un fattore tre lo sforzo di policy necessario per rimettersi in carreggiata. Per quanto non vincolante, il mancato conseguimento dell’obiettivo ha delle conseguenze considerevoli sull’Europa, da sempre carente di materie prime – e dunque sottoposta a tensioni di tipo geopolitico – e attenta agli aspetti ambientali, strettamente connessi all’uso razionale dell’energia.

Ciò ha dunque portato la Commissione a varare prima un Energy efficiency plan nel 2010 e poi uno schema di nuova direttiva, proposto nel 2011 e definitivamente approvato all’inizio di ottobre 2012 dal Consiglio europeo dopo un percorso travagliato, che ha visto contrapposti i sostenitori di politiche forti e basate su obblighi e la schiera dei soggetti preoccupati di aggiungere fardelli a economie nazionali già gravate dalla crisi.

Il risultato è un provvedimento meno ambizioso e in alcuni punti quasi accomodante, ma che offre solide basi ai Paesi membri per promuovere l’efficienza energetica. La sua forza è proprio quella di promuovere strumenti, procedure e provvedimenti che attuati favoriscono un uso intelligente delle risorse.

I punti salienti della direttiva, che verrà pubblicata a novembre in Gazzetta ufficiale, sono i seguenti. Al settore pubblico è assegnato un ruolo di leadership esemplare, basata sul rafforzamento delle politiche sugli acquisti verdi – estesi a edifici e servizi –, la riqualificazione del parco immobiliare, l’uso della pianificazione e dei sistemi di gestione dell’energia e l’energy performance contracting. Viene chiesto di adottare schemi di obblighi nazionali per le utility – da noi già presenti coi certificati bianchi –, di completare l’adozione di contatori avanzati e di utilizzare le bollette per aiutare i consumatori a individuare sprechi e opportunità di intervento. Sul fronte della generazione di energia è prevista una maggiore integrazione fra la produzione elettrica e quella termica, facendo ricorso al teleriscaldamento e a sinergie fra centrali termoelettriche e aree industriali e urbane per promuovere la cogenerazione (ossia il recupero di energia termica). Gli audit energetici obbligatori diventano un obbligo per le imprese di dimensioni rilevanti ed è richiesto ai Paesi membri di introdurre misure che ne favoriscano la realizzazione anche presso le PMI.

In pratica si tratta di un manuale di buone prassi: conosci i consumi, adotta degli obiettivi sfidanti e delle procedure per conseguirli e sfrutta al meglio le risorse disponibili, confidando in un ruolo di leadership e traino dell’amministrazione pubblica. In termini di impatto rispetto alla situazione attuale la direttiva non porta di per sé modifiche agli obiettivi nazionali, non prevedendo obblighi complessivi cogenti, ma favorisce il raggiungimento dei target prefissati. Dunque per l’Italia l’obiettivo vale circa 20 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio. Tale traguardo comporta investimenti nell’ordine dei 50-100 miliardi di euro nei prossimi otto anni, risparmi annui in bolletta intorno ai 20 miliardi e un’occupazione aggiuntiva nell’ordine delle 100-200 mila unità.

Confidiamo che il recepimento della direttiva ne colga appieno lo spirito, in linea con i buoni propositi della Strategia energetica nazionale recentemente promossa dal Ministero dello sviluppo economico (che punta a un 24% di risparmio, superando il 20% del 20-20-20).