Intervista sui certificati bianchi con AIEE

Di seguito riporto l’intervista rilasciata ad AIEE – l’Associazione italiana economisti dell’energia – sul tema dei certificati bianchi e delle diagnosi energetiche. Vengono discussi i temi che hanno portato alla consultazione delle linee guida sui TEE e il possibile effetto delle diagnosi obbligatorie.

Pubblicato sul bollettino “Energia ed Economia” dell’AIEE di ottobre.

Lo strumento dei Certificati Bianchi è senza alcun dubbio uno dei meccanismi che più di altri hanno permesso di registrare considerevoli progressi nel campo dell’efficienza energetica, tanto da averlo esportato quale best practice italiana in Europa, ed in questi giorni si è conclusa la consultazione del MISE sulle proposte di modifiche di questo meccanismo. Ritiene che effettivamente occorreva fare un tagliando al meccanismo? Ritiene che vi siano altri elementi di attenzione, oltre ai 4, indicati dal MISE? Quali sono i punti principali da rivedere o confermare?

Una delle ragioni per cui lo schema italiano ha avuto successo è che nel tempo il Ministero dello sviluppo economico è intervenuto per introdurre delle azioni migliorative e superare le problematiche via via emerse. Stesso discorso per l’Autorità per l’energia elettrica il gas e i servizi idrici, per la parte regolatoria che ha curato negli anni passati. Ciò ha consentito di far crescere il meccanismo, che altrimenti avrebbe potuto arenarsi più volte.

Negli ultimi anni, nonostante gli obiettivi in termini di certificati emessi siano stati raggiunti, si sono comunque evidenziate delle problematiche che meritano attenzione. Una delle più importanti, a mio parere, è la diminuzione dei nuovi risparmi energetici annui (per la presenza del coefficiente di addizionalità tau gli obiettivi raggiunti e i titoli emessi dal 2012 non sono più coincidenti). Sebbene l’incremento del tau medio sia associato alla realizzazione di interventi di maggiore durata (aspetto che comunque nell’industria deve fare i conti con le modifiche produttive legate al mercato e all’innovazione di prodotto), esso comporta anche un aumento del costo del meccanismo per tep effettivamente risparmiato che, in presenza di risparmi annuali decrescenti, suggerisce l’opportunità di qualche intervento migliorativo per evitare di trovarsi lontani dagli obiettivi con un costo superiore alle attese.

Altre criticità emerse negli ultimi anni riguardano la definizione dell’addizionalità, la responsabilità in carico delle ESCO in caso di non conformità, gli ambiti di applicazione, le irregolarità in alcuni progetti standard a carattere diffuso favorite dall’assenza di controlli, la semplificazione e maggiori certezze sui tempi collegati adempimenti amministrativi, e alcune schede semplificate da revisionare. Gli elementi per rivedere alcune meccaniche dunque non mancano. L’auspicio è che le scelte che verranno prese portino a un miglioramento dello schema.

Uno dei campanelli di allarme che hanno spinto il MISE ad analizzare il meccanismo è stato il gap tra il numero dei titoli emessi e i risparmi registrati, un divario in crescita. Cosa pensa al riguardo? Quali le considerazioni o la chiave di lettura di questo fenomeno?

Come accennato sopra, il problema non è il divario in sé, prevedibile in ragione dell’evoluzione del mix di progetti, ma il fatto che l’andamento dei risparmi annuali non sia positivo. Presumibilmente il MiSE, che deve tenere conto degli input politici ricevuti in merito al contenimento della spesa e al costo efficacia delle misure di policy, ha ritenuto che la tendenza in atto non sia soddisfacente.

Il Ministero ha ipotizzato per lo schema dei certificati bianchi un contributo del 60% agli obiettivi al 2020 coperti con misure di incentivazione: è dunque fondamentale che il meccanismo sia in grado di generare i risparmi necessari, e di fare questo con il minore costo possibile. Si tratta di concetti semplici da declinare, ma tutt’altro che banali da mettere in pratica. Da come verranno scritte le linee guida – e dunque anche dalla bontà degli spunti ricevuti nel corso della consultazione – dipenderà la capacità di rispondere a questa esigenza in modo positivo.

Le aspettative legate ai certificati bianchi sono rilevanti, così come emerge anche dall’analisi del PAEE 2014, che attribuisce proprio a questo meccanismo oltre la metà del risparmio atteso al 2020, perché gli altri strumenti risultano meno efficaci? Quali azioni occorrerebbe promuovere per rendere più incisivi altri strumenti?

L’indicatore di costo-efficacia utilizzato nel PAEE offre una visione parziale dell’efficacia degli schemi. In particolare si concentra sulla capacità di essi di produrre risparmi al minore costo di incentivazione per gli utenti finali, sia esso espresso in termini di imposte o di componenti tariffarie. Chiaramente tale indicatore ha senso compiuto quando si raffrontano le medesime soluzioni di efficientamento, ma quando nella cesta delle proposte considero tecnologie e settori differenti non è detto che un maggiore costo per tep sia un difetto.

Per esempio, nel settore dell’edilizia è richiesto per il futuro un intervento di ampio respiro che comprenda nella riqualificazione gli involucri edilizi. Si tratta di investimenti con tempi di ritorno piuttosto lunghi per cui è normale che un incentivo ad essi dedicato presenti un indicatore di costo per tep maggiore di un intervento industriale con ritorno a breve termine.

Nel meccanismo dei certificati bianchi, si è passato da un sistema basato prevalentemente su schede standard a schede analitiche e consuntive, segno di una evoluzione dello strumento che implica, allo stesso tempo, una maggior complessità. Ritiene che l’attuale frammentazione dei ruoli dei diversi attori istituzionali possa costituire in qualche modo un freno alla naturale evoluzione dei TEE?

Indubbiamente, dopo le modifiche introdotte dal D.M. 28 dicembre 2012, si è assistito a qualche problematica di raccordo e omogeneità fra le istituzioni coinvolte, in particolare nell’ambito della valutazione delle pratiche. Si tratta comunque di problemi che sembrano essere stati risolti col tempo, grazie al lavoro svolto dalle parti. Che potessero emergere dinamiche complesse era prevedibile, ma quello che conta è che si sia trovato un equilibrio e che i diversi soggetti possano apportare un contributo positivo in funzione delle loro caratteristiche e competenze.

Infine, quali ritiene possano essere gli effetti nel campo dell’efficienza energetica della diagnostica energetica nelle imprese previste dall’art. 8 del D.Lgs. 102/2014? Secondo lei, l’UNI CEI EN ISO 50001:2001 può essere di stimolo per il coinvolgimento del settore industriale nelle politiche di efficienza energetica?

Le imprese avrebbero dovuto condurre diagnosi energetiche con una certa regolarità a prescindere dagli obblighi introdotti in applicazione delle disposizioni della direttiva sull’efficienza energetica. La diagnosi – che consiste in una fotografia energetica dell’azienda corredata da una serie di possibili interventi di efficientamento con relativa analisi di fattibilità tecnico-economica – dovrebbe rappresentare infatti una normale prassi di analisi e gestione di una voce di costo che può rivelarsi più o meno importante. Purtroppo così non è in molti casi, e dunque l’obbligo di legge può risultare utile per sopperire a una carenza gestionale.

Come tutti gli obblighi ci sarà chi lo prenderà come opportunità, cogliendone i benefici, e chi cercherà di fare il minimo sindacale per evitare le sanzioni, barattando i benefici con un inutile risparmio iniziale. La speranza è comunque che un numero consistente di imprese colga la valenza della diagnosi energetica e cominci ad avviare a valle gli investimenti proposti, recuperando così i costi sostenuti per adempiere all’obbligo.

La diagnosi produrrà inoltre benefici per il sistema Paese: l’analisi da parte di ENEA delle pratiche ricevute consentirà di ricavare nel tempo importanti informazioni sulle dinamiche dei consumi e sulle opportunità di intervento. Ciò consentirà al MiSE, così come al Parlamento e al Governo, di impostare le politiche energetiche relative agli usi finali con maggiore efficacia.

Sul fronte delle singole imprese, la diagnosi rappresenta un primo passo verso la consapevolezza dell’impatto della variabile energetica sulla produzione di beni e servizi. Le imprese, una volta comprese le opportunità di intervento e i relativi benefici, tendono nel tempo ad adottare un sistema di gestione dell’energia (SGE), eventualmente certificato ISO 50001, in risposta all’impegno crescente dei vertici aziendali. L’SGE rende l’impresa capace di conseguire risparmi energetici consistenti negli anni, in un’ottica di miglioramento continuo favorito dalle procedure e dall’organizzazione mirata. Ciò porta in genere alla diffusione della consapevolezza fra tutti gli stakeholder e i dipendenti, traducendosi in ulteriori benefici legati alle modifiche comportamentali e a un’attenzione verso l’uso delle risorse energetiche in ogni fase produttiva ed anche in relazione all’impiego di materia e semilavorati e all’impatto energetico sul ciclo di utilizzo dei beni e servizi offerti. In sostanza l’impresa impara col tempo a collegare l’efficienza energetica al core business, cogliendone i relativi benefici in termini di competitività. Per questi motivi suggeriamo alle imprese di approfittare delle diagnosi obbligatorie, chiedendole di qualità e dando poi un seguito alle proposte interessanti, che sicuramente non mancano.