L’industria ha un target di riduzione dei consumi energetici di circa 4 Mtep al 2020. L’efficienza energetica non è solo il mezzo per raggiungere l’obiettivo, ma un’opportunità per rivedere i processi e rimanere competitivi, favorendo contestualmente la crescita della green economy.
Pubblicato su AGI Energia.
L’industria nazionale assorbe circa 33 Mtep in usi finali e continua a rappresentare, con circa un quarto dei consumi, il terzo consumatore nazionale dopo gli usi civili e i trasporti, come mostra la prima figura. Il Rapporto annuale sull’efficienza energetica (RAEE) del 2011 redatto dall’ENEA indica per l’industria un risparmio di circa 10 GWh, ossia circa 1,2 Mtep rispetto al quinquennio precedente al 2006, corrispondenti al 50% dell’obiettivo di risparmio per il comparto al 2016 e a circa il 25-30% di quello al 2020 previsto dalla Strategia energetica nazionale (SEN) approvata quest’anno.
Si tratta dunque di un settore che ha mostrato un’attenzione discreta per l’efficienza energetica, soprattutto per i settori energy intensive. Non a caso la chimica e la siderurgia hanno trainato la spinta efficientista, con un miglioramento superiore al 30% (la figura 2 riporta gli indici Odex di efficienza valutati con la metodologia Odyssee Mure, che relaziona i consumi alla produzione industriale). Globalmente l’industria manifatturiera ha segnato un miglioramento del 15% rispetto al 1990, evidenziando quindici anni di scarsa attenzione all’energia; atteggiamento che ha iniziato a modificarsi solo nell’ultimo decennio, complici il rialzo stabile del prezzo del petrolio e la crisi economica.
I dati citati indicano che la situazione per molti settori non è rosea e che si può fare molto di più, anche andando oltre gli obiettivi della SEN. Tanto per fare un paragone, in Irlanda dal 1995 al 2009 le imprese monitorate nell’ambito del Lien (large industry energy network) – che coprono il 70% dei consumi del comparto – hanno conseguito risparmi superiori al 30%, ossia circa il doppio di quanto accaduto da noi. È vero che i confronti fra Paesi diversi vanno sempre fatti con la dovuta attenzione – ad esempio non è facile mettere in piedi politiche di supporto informativo e di condivisione strutturato e diffuso quale quello predisposto dalla SEAI, l’Agenzia per l’energia e l’ambiente irlandese, in un Paese come il nostro –, ma il dato rimane impressionante, e invita a fare qualche riflessione.
Il risultato irlandese è collegato a politiche nazionali intelligenti. Invece di promuovere pratiche come gli sconti sugli oneri alle aziende energy intensive – scelta che tende a bloccare gli investimenti tesi al miglioramento strutturale, trasferendo sugli altri utenti un balzello perenne – gli Irlandesi hanno stimolato gli investimenti in efficienza energetica. E lo strumento principe adottato è stato quello dei sistemi in gestione dell’energia (oggi collegati alla norma ISO 50001, in quel Paese disponibili dagli anni novanta in base a uno standard nazionale). Ossia si è partiti dalla consapevolezza che l’efficienza energetica è conveniente per le imprese: più che incentivi all’installazione di tecnologie, occorre far sì che l’organizzazione si renda conto delle opportunità disponibili, le possa quantificare, e possa dunque ricomprenderle nelle politiche aziendali.
Conviene notare a questo proposito che efficienza energetica nell’industria non vuol dire solo motori ad alta efficienza e cogenerazione, come spesso si sente ai convegni. Ma anche rivedere i processi in un’ottica energetica, conseguendo risparmi di gran lunga superiori e ben valorizzabili nell’ambito del meccanismo dei certificati bianchi (TEE), come dimostrano gli studi approfonditi che FIRE ha svolto su incarico dell’ENEA (figura 3). Del resto i settori che hanno ottenuto i migliori risultati in questi anni sono quelli che hanno ripensato i processi, partendo dall’idea di recuperare il calore disperso e non valorizzato e cercando di fare ricorso alle fonti rinnovabili di energia.
Le aziende del settore industriale hanno a disposizione diversi strumenti per avviarsi sulla strada dell’uso intelligente dell’energia: i sistemi di gestione dell’energia (che tra l’altro ricomprendono quelle diagnosi energetiche che a breve saranno obbligatorie per la direttiva 2012/27/UE), i certificati bianchi, le tecnologie per l’automazione e il controllo – che si possono coniugare con i processi, le macchine utensili e le soluzioni orizzontali sul risparmio e la generazione elettrica e termica – e una serie di buone pratiche.
Investire in efficienza energetica significa inoltre promuovere le imprese che si occupano di green economy che sono nate nel nostro Paese (come start-up o evoluzioni di soggetti già attivi), contribuendo ad alimentare l’economia nazionale e locale, anche grazie al potenziale alto impatto in termini di occupazione nell’ambito di progettazione, manutenzione e gestione degli impianti che il carattere diffuso delle soluzioni di efficientamento implicano.
È in sintesi importante che le aziende comprendano che l’efficienza energetica è una grande opportunità, e non solo un obbligo (comunitario, aziendale per via delle certificazioni ambientali e sociali che molte organizzazioni hanno conseguito, morale perché gli imprenditori illuminati sanno che il benessere della propria realtà si rafforza se accompagnato da quello di chi ci orbita attorno). Del resto in un mondo in cui tutto diventa smart (le reti, le città, i telefonini) non possiamo certo fare a meno delle smart industries…
Figura 1. Impieghi finali di energia. Fonte: RAEE ENEA 2011.
Figura 2. Indici di efficienza energetica per l’industria. Fonte: RAEE ENEA 2011.
Figura 3. Certificati bianchi richiesti nell’ambito dei progetti a consuntivo. Fonte: FIRE.