Mi è capitato recentemente di scrivere di demand response – ossia di gestione attiva della domanda di energia – per FIRE e per RIE Energia e ne approfitto per condensare in questo articolo una serie di considerazioni sul tema. Soprattutto se i termini demand response o demand side management non dicono nulla è opportuno comprendere di cosa si tratti, perché nei prossimi anni acquisterà un’importanza crescente sia per gli utenti finali, sia per utility, ESCO ed altri operatori di mercato.
Il demand response è una modulazione della domanda di energia, in aumento o riduzione, al variare del prezzo della commodity. Non è un concetto nuovo, visto che affonda le sue radici nel demand side management di cui si parla da decenni. Una forma base è quella collegata alle tariffe multiorarie, in cui i prezzi differiscono a seconda della fascia (F1, F2, F3) e del giorno (festivo o feriale) di prelievo, introdotte per stimolare gli utenti a spostare i prelievi nelle ore di minore carico e, dunque, minore congestione per la rete e il parco di generazione. Un’altra forma di demand response può essere vista nei contratti di interrompibilità (per il triennio 2018-2020 la potenza impegnata è di circa 4 GW) per i quali un consumatore, tipicamente un grande utente industriale, volontariamente sceglie e si impegna ad una riduzione dei prelievi da rete o al distacco senza preavviso in cambio di un corrispettivo economico piuttosto cospicuo.
Come detto, nel senso stretto del termine il demand response associa la variazione dei consumi dell’utente, e dunque la sua flessibilità, al prezzo di mercato dell’energia elettrica. Un tema che si lega negli ultimi anni alla diffusione di sistemi di generazione distribuiti (si pensi alla diffusione degli impianti fotovoltaici e della cogenerazione), per cui l’utente finale diviene produttore di energia e consumatore allo stesso tempo, il cosiddetto“prosumer”. Nel prossimo futuro si diffonderanno i sistemi di accumulo e le auto elettriche, che apriranno nuove frontiere per la possibilità di modulare e gestire domanda e offerta di energia e utilizzo delle reti.Il forte incremento delle fonti rinnovabili non programmabili (in particolare fotovoltaico ed eolico) nel mix di generazione nazionale ha creato la necessità di un sistema elettrico flessibile, basato su stoccaggio diffuso e di rete, carichi modulabili e/o interrompibili, sistemi di generazione distribuiti pensati per sfruttare al massimo le opportunità di autoconsumo.
L’ulteriore espansione delle fonti rinnovabili in un contesto più di mercato e non più basato su incentivi consistenti richiede lo sviluppo di nuove forme contrattuali, quali i Power Purchase Agreement (PPA), contratti di medio periodo capaci di garantire un livello di remunerazione adeguato a chi realizzerà impianti difficilmente gestibili in un’ottica di borsa dell’energia. Ciò vede nella figura degli aggregatori un soggetto fondamentale, al fine di coniugare le opzioni di flessibilità con un adeguato know-how e una soglia dimensionale adeguata.
La flessibilità sarà un tema chiave, in quanto consente di utilizzare al meglio le risorse disponibili, riducendo i picchi di potenza e di conseguenza i costi di generazione, evitando di investire risorse per il potenziamento delle reti e degli impianti, portando ad una riduzione del costo finale dell’energia stimata intorno al 10%. Un piccolo utente, sia esso residenziale, terziario o industriale, ha spesso difficoltà ad implementare azioni di demand response, per mancanza di mezzi tecnici, gestionali e, soprattutto, di conoscenza delle opportunità, da cui l’importanza dell’aggregatore che agisca da intermediario tra svariati utenti finali e Terna. Nel mondo si segnalano esempi interessanti di PPA realizzati da Apple, Google, Coca-Cola, etc., grandi colossi che hanno stipulato accordi per l’acquisto di energia verde per i prossimi 15-20 anni ad un prezzo di ritiro predefinito, anche coinvolgendo utenti residenziali e del terziario.
In futuro, con l’apertura del mercato del servizio di dispacciamento, l’utente finale – direttamente o indirettamente tramite il soggetto aggregatore (o altre forme consortili), ora per ora, in base al prezzo dell’energia sul mercato – potrà scegliere alternativamente se prelevare o vendere, stoccare o consumare energia.
L’applicazione del demand response farà dunque emergere ancora di più l’importanza di considerare insieme produzione e consumo di energia in un edificio o sito industriale, evitando gli errori del passato, spesso promossi da incentivi troppo generosi o strutturati male (e.g. la tariffa onnicomprensiva che addirittura impediva l’autoconsumo): troppo spesso, infatti, si sono dimensionati gli impianti di cogenerazione o fotovoltaici senza tenere conto delle opportunità di riduzione dei consumi collegate all’efficienza energetica, trovandosi poi con impianti sovradimensionati e dunque in condizioni non ottimali di gestione del budget collegato all’energia.
D’altra parte, le opportunità di investire efficienza energetica dipendono dal prezzo di approvvigionamento dell’energia, che per un utente dotato di sistemi di generazione locale non è più pari a quello di fornitura dalla rete, ma diventa una media pesata che tiene conto anche del costo del kWh prodotto e delle quantità relative prodotte, consumate in loco e assorbite dalla rete. Tale prezzo di approvvigionamento risulta inferiore a quello di fornitura (a meno che non si siano fatti investimenti discutibili lato generazione, evidentemente). Le imprese che più hanno spinto su un’elevata quota di autoproduzione si trovano pertanto a beneficiare di un prezzo più favorevole, che ha come effetto la riduzione dei benefici ad investire in efficienza energetica, in quanto si allungano i tempi di ritorno dei progetti di riqualificazione energetica (per continuare a realizzare interventi diventa quindi fondamentale quantificare i benefici non energetici).
Dunque, il dimensionamento degli impianti di generazione dovrebbe tenere conto dei fabbisogni futuri di energia – in ragione delle evoluzioni previste per il core business e delle opportunità di efficientamento energetico –, oltreché di quelli presenti, per trovare il mix di generazione ed efficienza energetica che porti ai maggiori benefici economici. Ciò significa abituarsi a ragionare più per scenari e miglioramenti continui che non per azioni una tantum, attitudine più probabile in presenza di un sistema di gestione dell’energia (ISO 50001). Occorre infatti integrare nei processi decisionali collegati all’energia la gestione attiva dei carichi e l’impiego di sistemi di accumulo sia dinamici che statici.
Si aprono dunque scenari interessanti, ma anche complessi per gli energy manager, che richiederanno lo sviluppo di competenze specifiche e, soprattutto, un approccio alla gestione dell’energia più ampio e collegato alle altre funzioni aziendali. Proprio per aiutarli a comprendere le dinamiche accennate e ad attrezzarsi con gli strumenti più adeguati, la FIRE ha avviato una serie di progetti e iniziative, fra cui un’indagine svolta a settembre 2018 per cercare di capire quanto energy manager e operatori di settore sappiano di demand response e come pensino di sfruttarne le opportunità.
All’indagine, inviata agli oltre 400 soci della FIRE, hanno risposto 58 soggetti. Informazioni dettagliate sui risultati sono liberamente scaricabili nel report disponibile sul sito della FIRE.