Negli ultimi mesi sono circolate diverse bozze relative allo schema dei certificati bianchi. Vale la pena di commentarne una di quelle apparse nell’ultima settimana, per quanto la variabilità dei documenti suggerisca una certa cautela nel prenderla come oro colato. I temi affrontati nel documento saranno approfonditi nel tradizionale convegno sui certificati bianchi organizzato da FIRE nell’ambito di KeyEnergy a Rimini, che si terrà il 10 novembre.
Pubblicato su: Staffetta Quotidiana.
La condivisione della bozza di linee guida sui certificati bianchi offre il pretesto per fare il punto della situazione sul principale schema nazionale di supporto all’efficienza energetica. Conviene partire dai risultati, per poi fare un commento sul documento circolato e alcune valutazioni di mercato.
La situazione
Si è molto discusso negli ultimi mesi dei problemi che hanno afflitto lo schema dei TEE negli ultimi anni. Senza entrare nel merito delle scelte, vi sono tre indicatori che parlano chiaro: i risparmi conseguiti, i prezzi di mercato e le proposte non approvate.
In merito ai risparmi conseguiti, nel tempo si è assistito a un progressivo declino, dopo il picco registrato nel 2011 di oltre 3,3 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep) [figura 1]. Questa difficoltà a generare nuovi risparmi energetici all’interno del meccanismo è confermata anche dall’analisi degli open data del GSE: la dimensione media dei nuovi progetti presentati nell’anno è scesa dai 393 titoli del 2014 ai 64 del 2016 (in base all’ultimo aggiornamento disponibile, ossia settembre), mentre il numero di nuovi progetti presentati nel 2016 appare in linea con l’anno precedente. Il numero dei certificati rilasciati in questo anno solare fa pensare in previsione a un leggero incremento rispetto all’anno precedente. In definitiva dovrebbe verificarsi un leggero miglioramento in riferimento all’anno d’obbligo 2016, ma si rimarrà lontani dagli obiettivi previsti.
In questa situazione di carenza di offerta era lecito aspettarsi un rialzo dei prezzi, che infatti, a conferma di un trend al rialzo iniziato a febbraio 2016, hanno raggiunto il record storico nell’ultima sessione di mercato di ottobre, con oltre 155 euro a titolo [figura 2]. Anche i prezzi delle contrattazioni bilaterali si sono attestati oltre i 125 euro a titolo fra agosto e ottobre, nonostante la presenza di scambi a prezzo zero che influiscono sul valore medio ponderato.
I dati sulle proposte rigettate sono scoraggianti, per uno schema partito oltre dieci anni fa. Nel 2015 sono state rigettate dal GSE il 42% delle PPPM valutate e il 7% delle RVC. Quest’anno, in relazione alle proposte già valutate, le due percentuali sono rispettivamente pari al 33% e al 5%. Simili valori possono giustificarsi, per procedure complesse come le PPPM, all’avvio del meccanismo. Il fatto che si siano manifestate successivamente è un segnale negativo in quanto sintomo di un’applicazione delle regole non chiara e soggetta a modifiche non adeguatamente comprese da parte degli operatori di settore. Il dato del 2016 da questo punto di vista è ancora più preoccupante. Senza entrare nel merito di quanto sia successo, occorre potenziare fortemente i momenti di chiarimento e incontro pubblici per riportare queste percentuali a valori più in linea con uno schema funzionante.
I tre elementi sopra citati confermano lo stato di malessere di uno schema che da qualche anno richiedeva interventi correttivi per superare le difficoltà incontrate sul percorso. Testimoniano inoltre una progressiva perdita in termini di costo-efficacia: risparmiare un tep oggi nell’ambito dello schema costa molto più che nei primi anni (effetto combinato del tau, della progressiva inammissibilità degli interventi con la minore intensità di capitale – costo dell’investimento rispetto ai tep risparmiati in un anno – e del rialzo dei prezzi di mercato) e vede costi amministrativi più alti (grande numero di pratiche rigettate o sottoposte a richiesta di integrazioni e aumento del contenzioso presso il TAR). Le nuove linee guida sono dunque fondamentali per riportare il tutto a livelli di efficienza.
La bozza delle nuove linee guida
La bozza delle nuove linee guida riprende in buona parte quanto messo in consultazione lo scorso anno dal Ministero dello sviluppo economico, con qualche novità. Anzitutto vengono definiti gli obiettivi per i prossimi anni, un tema che avrebbe meritato più attenzione, mantenendo la differenziazione fra target globali in fonti primarie –comprensivi di TEE CAR ritirati, gare d’ambito gas e risparmi generati da progetti già conclusi ma ancora attivi – e target specifici per TEE [figura 3]. Il fatto che gli obiettivi indicati nella bozza siano gli stessi già circolati in documenti informali nel corso dell’estate, quando ancora non si era parlato di coefficiente k, fa però pensare che possano essere rivisti.
Nella bozza vengono chiarite meglio le responsabilità dei soggetti coinvolti nella presentazione delle domande e si aggiungono gli EGE all’elenco dei soggetti proponenti. Sembra un elemento interessante, ma la sua applicazione pratica risentirà presumibilmente della responsabilità in solido prevista per i proponenti, in questo caso persone fisiche. Molto dipenderà dai contratti tipo predisposti dal GSE.
Si chiariscono meglio una serie di elementi collegati alla valutazione e alla verifica delle proposte, confermando l’impostazione attuata dal GSE in questi ultimi anni, e si aggiunge qualche elemento al tema della baseline energetica. I progetti standardizzati vengono ridefiniti e saranno più simili a quelli analitici, prevedendo misure a campione. Le fonti rinnovabili vengono limitate all’effetto di miglioramento dell’efficienza energetica. Le taglie minime sono ridotte (un elemento che potrebbe non essere così determinante, vista la maggiore complessità dei progetti e dunque il maggiore costo di presentazione). Si specifica meglio cosa accade in caso di non conformità. Si tratta in buona parte di misure che dovrebbero produrre effetti positivi sulle regole, sebbene al prezzo di una maggiore complessità in alcuni casi.
L’aspetto forse più dibattuto è però quello relativo alle modalità di riconoscimento dei certificati bianchi. Come preannunciato nel corso della consultazione del 2015, il tau viene eliminato e si ritorna all’impostazione originaria della vita utile – ossia del numero di anni per i quali si ricevono i TEE – variabile in funzione del tipo di progetto. La novità riguarda l’introduzione del coefficiente k, un coefficiente moltiplicativo diverso dal tau come logica ed effetti.
Lo schema dei certificati bianchi nasce come un meccanismo di mercato volto a favorire l’adozione delle soluzioni di efficientamento energetico economicamente più convenienti. L’introduzione del tau nel 2011 ha evidentemente spostato al rialzo il potere incentivante dei TEE (di un fattore 2,9 nel 2015): l’effetto è stato quello di premiare maggiormente gli interventi ad alta intensità di capitale, spesso caratterizzati da vite tecniche più lunghe e dunque da valori specifici di tau maggiori, ma ha anche di stressare la sovraremunerazione delle soluzioni più convenienti, in particolare nel settore industriale, dove i pay-back time risentono positivamente anche del maggiore tempo di utilizzo degli impianti. Due ulteriori effetti negativi del tau sono la differenziazione di risparmi energetici e TEE e il fatto che vengano anticipati nei cinque anni della vita utile i risparmi su tutta la vita tecnica (compresa fra i 5 e i 25 anni), aprendo la strada a problemi legali e contenziosi in caso di dismissione anticipata delle soluzioni adottate.
La soluzione di variare la vita utile risolve gli ultimi due problemi citati e consente di premiare maggiormente gli interventi ad alta intensità di capitale. Si possono ottenere teoricamente effetti premianti simili a quelli conseguiti col tau, ma con due importanti svantaggi: la distribuzione su un arco temporale maggiore dell’incentivo aumenta i rischi di non conseguirlo nella misura prevista e non produce miglioramenti al pay-back time dei progetti al crescere della vita utile, rimanendo costante il flusso di cassa annuale. In sintesi una soluzione semplice, ma non molto stimolante per il mercato.
La soluzione del coefficiente k funzione dell’intensità di capitale offre invece la possibilità di garantire un premio addizionale più o meno consistente agli interventi ad alta intensità di capitale, con inoltre la possibilità di introdurre una soglia minima per tagliare in automatico gli interventi a basso pay-back time. A fronte di un elemento di complicazione – la richiesta del costo di investimento – e del mantenimento della differenziazione fra risparmi conseguiti e TEE rilasciati, si possono ottenere dunque vantaggi in termini di costo-efficacia e di stimolo agli interventi complessi. Ovviamente l’effetto dipende dai valori di k [figure 4-6].
Questi temi saranno approfonditi al convegno FIRE in programma a KeyEnergy a Rimini giovedì 10 novembre insieme all’Autorità per l’energia elettrica, il gas e i servizi idrici e ai principali stakeholder.