Certificati bianchi: quota 400

certificati bianchi oltre 400 euro

Con la prima sessione di febbraio il prezzo dei certificati bianchi ha superato la soglia dei 400 euro. In due anni si è quadruplicato. Le scelte restrittive adottate nelle ultime linee guida in merito all’addizionalità e alla valutazione dei consumi di riferimento, unite alla mancata pubblicazione delle schede standard e alle frodi emerse lo scorso anno, hanno rafforzato le aspettative negative degli operatori di mercato. Di per sé l’aumento dei prezzi in uno schema di mercato non è un fatto negativo, purché l’offerta possa crescere nel tempo. E questo è attualmente il vero problema, che solo un intervento del Ministero dello sviluppo economico può fare superare. Di seguito un’analisi sintetica con alcune proposte.  

Articolo in precedenza pubblicato su Qualenergia e sul blog  ON FIRE, qui aggiornato con l’ultima sessione di mercato.

Il prezzo dei TEE continua a salire, come peraltro prevedibile in seguito all’incertezza causata dalle maxi-frodi emerse nel 2017 e all’andamento delle emissioni mensili di certificati. Il valore medio delle contrattazioni spot nella prima sessione di febbraio ha superato i 427 euro/TEE, mentre il valore tendenziale del rimborso tariffario, cui è legato il costo del sistema, viaggia verso i 315 euro/TEE, cui corrisponderebbe un onere annuo nell’ordine dei 1.500-1.700 milioni di euro.

Pesa indubbiamente il rapporto fra domanda e offerta. Il problema non è l’obbligo 2017, che dovrebbe essere superato senza problemi con le emissioni di certificati previste da qui a maggio, quanto il residuo legato al mancato raggiungimento dei target degli anni precedenti, che ammonta a circa 3,5 milioni di TEE (i.e. due terzi dell’obbligo 2017).

Sul trend dei prezzi impatta inoltre la riduzione delle emissioni trimestrali di certificati, scese da 1,8-2,0 milioni di TEE dei primi tre trimestri 2017 a poco meno di 1,3 milioni di TEE nell’ultimo periodo dello scorso anno. Un dato su cui incidono i TEE venuti meno in seguito alle truffe smascherate da Guardia di Finanza e GSE (nell’ordine dei 130 mila TEE a trimestre), cui presumibilmente si aggiungono gli esiti di altre verifiche in corso, visto che negli ultimi due anni metà titoli sono arrivati da schede standard, in buona parte collegati a quelle problematiche (in quanto più facilmente oggetti di frodi). Vanno inoltre aggiunte le pratiche ancora sospese lo scorso anno per il mancato aggiornamento dei certificati antimafia (che dovrebbero essere in fase di sblocco, ma di cui non si conosce il volume).

Purtroppo la carenza di dati sui certificati che potranno essere emessi nei prossimi mesi non aiuta di certo a ridare stabilità al mercato. FIRE ha più volte segnalato che un meccanismo di mercato necessita di maggiore trasparenza e più dati forniti in tempo reale, pena il rischio di tensioni sui prezzi più marcate. A breve dovrebbe comunque essere prodotto dal GSE il rapporto annuale relativo al 2017, con le consuete proiezioni per il futuro, che si spera possa chiarire la situazione e che aiuterà a comprendere cosa attendersi in vista della scadenza a maggio del termine per presentare certificati per la verifica dell’obbligo 2017.

Ciò premesso, niente di male che il prezzo aumenti in un meccanismo di mercato quando la domanda supera l’offerta, purché le regole consentano a quest’ultima di rafforzarsi e riportare il sistema in equilibrio. In tal caso è un effetto atteso, che va inquadrato in un’analisi pluriennale e non considerato a parte, e che contribuisce alla capacità di uno schema di questo tipo di conseguire valori in termini di costo/efficacia superiori ad altre policy.

Il problema dello schema italiano è che la capacità dell’offerta di produrre nuovi progetti in grado di contribuire all’aumento di TEE presenti sul mercato è stata decisamente ridotta dall’emanazione delle nuove linee guida nel 2017, un rischio su cui FIRE aveva più volte manifestato preoccupazione nelle fasi di disegno delle nuove regole. Da un lato si è scelta una definizione di addizionalità eccessivamente punitiva. Dall’altro sono state introdotte regole per la valutazione dei consumi storici che trova molte imprese non pronte in relazione alla necessità di avere già installato misuratori dedicati con campionamento giornaliero dei consumi. Il risultato è una riduzione sia nel numero di progetti presentati, sia nei risparmi generati in media. A questo occorre aggiungere la mancata pubblicazione delle nuove schede standard, che ha impedito l’utilizzo dei nuovi progetti semplificati.

Per la natura dello schema, l’introduzione di queste rigidità in un contesto di mercato corto non solo si è tradotto in un forte rialzo di prezzi, ma il rischio è che ne beneficino quasi esclusivamente i progetti presentati precedentemente, che non ne avevano necessità, con il conseguente crollo dell’indicatore di costo/efficacia.

Sebbene sia possibile intervenire nel breve periodo dando più tempo ai distributori per recuperare il residuo sugli obblighi, è auspicabile un intervento da parte del MiSE che consenta di sbloccare l’offerta.

Attraverso una revisione dell’addizionalità e delle regole sulla determinazione dei consumi storici, nonché rendendo accessibili i nuovi progetti standard, si potrebbero superare i principali problemi attuali. Sull’addizionalità si può andare da una revisione radicale – con il riconoscimento dei certificati su tutti i risparmi generati e il calcolo di quelli addizionali fatto a posteriori per la sola contabilizzazione ai fini dell’art. 7 della direttiva sull’efficienza energetica –, a una rimodulazione che consenta di tenere conto dell’effetto di accelerazione degli investimenti, considerando lo stato dell’installato oltre alla media di mercato dell’offerta. Sulla baseline dei consumi è possibile dare maggiore flessibilità in merito all’impiego dei misuratori, eventualmente rimandando a protocolli di misura e verifica in linea con le norme ISO 50015 e ISO 17741, quali l’IPMVP.

Rispetto a un’azione limitata agli obblighi e alla relativa flessibilità, la revisione delle regole sui progetti potrebbe consentire allo schema di crescere nuovamente, contribuendo in modo più deciso agli obiettivi comunitari e fungendo da volano per promuovere e velocizzare l’adozione di interventi nell’industria e nei servizi. Sarebbe però importante intervenire in tempi brevi, sia per ridare lustro allo schema, sia per evitare di far gravare costi aggiuntivi inutili sulle tariffe.