Si parla di green new deal, ma si fa poco sull’efficienza energetica, che della decarbonizzazione dovrebbe essere il pilastro principale. Una delle prove è l’abbandono in cui versa lo schema dei certificati bianchi, che la proposta di Piano nazionale integrato energia-clima ancora pone come strumento principe per raggiungere gli obbiettivi al 2030. Ma che non si vede come possa giocare tale ruolo senza interventi decisi sia da parte del MiSE, sia del GSE. Le proposte per superare lo stallo non mancano, e se ne è parlato nel tradizionale convegno organizzato da FIRE a KeyEnergy, ma serve la volontà del decisore politico e del gestore del meccanismo, ostaggio dalla primavera di un conflitto al vertice che ha arrestato quanto di buono si era messo in moto.
La situazione può apparire sconsolata, visto il calo continuo dei certificati emessi, l’entità del contenzioso amministrativo e il perdurante silenzio delle Istituzioni preposte alla regolazione e gestione dello schema. Eppure, nonostante tutto, la forte partecipazione al convegno riminese il 6 novembre mostra che gli operatori non hanno perso le speranze e che lo schema può ancora dare molto.
Di seguito riporto tre miei contributi sul tema:
- l’articolo recentemente pubblicato sulla rivista Qualenergia;
- la presentazione fatta al convegno FIRE a KeyEnergy, che fa un po’ un excursus storico dello schema;
- le proposte predisposte dal tavolo di lavoro FIRE a inizio anno con il coinvolgimento dei principali portatori di interesse collegati allo schema.
A breve dovrebbe inoltre uscire una proposta di Confindustria alla cui stesura stiamo collaborando. L’auspicio è che il MiSE possa rimettersi al lavoro ora che sono stati ripristinati i direttori generali, sia mettendo a punto un piano di intervento, sia sbloccando la situazione di stallo che riguarda i vertici del GSE.
Di seguito la presentazione e l’articolo. Le proposte predisposte da FIRE sono disponibili a questo indirizzo.
Certificati bianchi: dove siamo e qualche proposta
C’è ancora qualche speranza per i certificati bianchi? Questa è la domanda che molti si pongono vedendo la discesa continua dei TEE emessi. La risposta, a mio parere, è che c’è spazio per riattivare lo schema, ma più il tempo passa, più sarà difficile farlo. Ma andiamo con ordine e proviamo anzitutto a vedere cosa è successo in questi anni al meccanismo più longevo che abbiamo dedicato all’efficienza energetica.
I certificati bianchi negli anni
Quando lo schema dei certificati bianchi fu avviato, nel 2005, prendeva corpo sulla scena delle politiche energetiche un progetto innovativo e ambizioso. L’idea di avere un meccanismo in grado di promuovere qualunque intervento di razionalizzazione energetica in qualunque settore, assicurando il raggiungimento di obiettivi crescenti, era affascinante, ma tutt’altro che scontata. Tanto più che lo schema sarebbe dovuto partire nel 2001, ma le linee guida operative furono pubblicate solo nel 2003 dall’allora Autorità per l’energia elettrica e il gas (oggi ARERA), e fu necessaria una nuova coppia di decreti istitutivi nel 2004 per gestire il ritardo accumulato.
Il dispositivo, secondo la teoria, avrebbe dovuto garantire non solo flessibilità, ma anche un ottimale indicatore di costo-efficacia, in virtù della presenza di un mercato di scambio dei certificati in associazione all’obbligo di presentarne una quantità crescente negli anni, e di un paniere di interventi variegato (dalla lampadina all’edificio e all’impianto industriale).
Più in generale, nello schema originale del 2001, almeno quattro intenti possono essere identificati:
- l’introduzione di obiettivi annuali crescenti in termini di risparmio energetico, in conformità con gli obblighi imposti ai distributori di energia elettrica e gas naturale;
- la progettazione di un sistema di mercato flessibile, che potesse anche fungere da stimolo per l’attuazione di misure di efficienza energetica, grazie alla possibilità di avere parti idonee in grado di vendere certificati ai soggetti obbligati;
- la possibilità e l’opportunità di includere tutti i settori e un gran numero di soluzioni nel meccanismo;
- l’idea di promuovere il ruolo delle società di servizi energetici (ESCO), l’unico soggetto non obbligato inizialmente ammesso.
A fine 2018 lo schema aveva contabilizzato circa 27 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio risparmiate e prodotto oltre 51 milioni di certificati bianchi (i due dati non coincidono, sebbene ogni certificato corrisponda a un risparmio di un tep, a causa del coefficiente di durabilità tau).
Risultati
Sul primo obiettivo non è banale fare valutazioni. La figura 1 mostra come i risparmi contabilizzati negli anni sono andati riducendosi dopo i primi sei anni dall’avvio dello schema. Va però considerato che la vita utile dei TEE, ossia il periodo per il quale i titoli vengono accordati per un determinato progetto, è stata per anni pari a cinque anni per la maggior parte dei progetti. Dal 2010 in poi, dunque, all’aumento dei risparmi legato ai nuovi progetti presentati si è aggiunta la riduzione degli stessi per il termine della vita utile dei progetti presentati dal 2005 in avanti. Questo effetto, non calcolabile con precisione perché mancano i dati pubblici per farlo, è forse una delle ragioni alla base del principale errore che ha accompagnato il meccanismo nel tempo: la fissazione di target troppo alti.
Cercando, per quanto possibile, di tenerne conto, si può dire che il primo dei quattro obiettivi è stato mediamente conseguito, per quanto ci sia stato un rallentamento negli ultimi anni. Va detto che tale rallentamento è fondamentalmente dovuto alla progressiva stretta sui criteri di ammissibilità (requisiti su addizionalità, misura, tipologia di progetti ammessi, etc.), condotta in modo non sempre ottimale: basta fare un confronto fra come fu affrontato il tema dell’addizionalità e sovraremunerazione di alcuni interventi nel caso delle lampade fluorescenti compatte nei primi anni (correttamente, con cambiamenti delle regole chiari e da applicare ai progetti da presentare) e in quello dei progetti industriali più di recente (con taglio degli incentivi già approvati e in assenza di regole chiare).
Venendo agli altri punti, il mercato era stato disegnato per funzionare in condizioni di elasticità dell’offerta, inizialmente garantita dai progetti standardizzati e dalla possibilità di presentare interventi già realizzati. I progetti standardizzati, purtroppo, sono stati sostituiti da altri che portano lo stesso nome, ma che sono in realtà progetti a consuntivo, dunque non adatti a produrre risposte rapide in presenza di prezzi al rialzo a causa della necessità di effettuare misure ex-ante ed ex-post. Il tutto reso più complesso da requisiti troppo stringenti sulle tempistiche di presentazione e sulla misura dei consumi ex-ante per i progetti a consuntivo. In queste condizioni il mercato non poteva più funzionare e si è finiti in un sostanziale sistema a prezzi amministrati, che pone domande in tema di costo efficacia e apre potenziali questioni sul tema degli aiuti di stato alle imprese.
Il terzo punto è stato soddisfatto per diversi anni. Più di recente sono state introdotte limitazioni sia sugli interventi ammissibili che sulla misura, restringendo il campo di applicazione.
In merito alla promozione delle ESCO e degli altri operatori di mercato, si è assistito a uno degli stop and go purtroppo tipici della nostra incapacità di gestione corretta delle politiche. Di fronte a un eccesso di remunerazione degli interventi, invece di intervenire prontamente per risolvere il problema, evitando le speculazioni, si aspetta che questo cresca e poi si taglia tutto, anche retroattivamente, col risultato di affondare il mercato che si stava creando. È successo col fotovoltaico. Si è ripetuto con i TEE, con le principali società attive nel meccanismo acquistate negli ultimi anni dalle grandi utility.
Merita un accenno, vista la portata, il tema delle truffe e delle furberie, cui si è cercato al solito di far fronte aumentando i documenti richiesti, invece di fare controlli sul campo e alla fonte (le società che presentano i progetti da quanto esistono e che caratteristiche hanno?). Il risultato è stato che le frodi sono aumentate insieme ai prezzi e alle difficoltà di partecipazione degli operatori per bene. Grave e ripetuto difetto italico. Quasi che la storia e la sua funzione di insegnante non esistesse.
In sintesi, quando si è intervenuti sul meccanismo dal 2012 in poi lo si è fatto prevalentemente per introdurre vincoli e complicazioni. Ovviamente i progetti presentati sono calati, ma, essendo stati comunque fissati target alti, i prezzi sono andati alle stelle – e con loro il costo dello schema e il suo rapporto costo-efficacia – e hanno richiesto misure d’urgenza difficili da sostenere nel lungo periodo.
Si può tornare indietro e rimettere il tutto sulla giusta careggiata? Sì, ma sono richieste misure urgenti per superare le attuali problematiche. Se ci si riuscirà ci ritroveremo con un meccanismo in grado di dare un grande contributo al raggiungimento degli obiettivi fissati dalla direttiva efficienza energetica, altrimenti occorrerà trovare alternative che, come vedremo alla fine, sono tutt’altro che semplici da mettere in gioco.
I principali aspetti da affrontare
In linea generale, va assicurata al meccanismo una stabilità sul lungo periodo, requisito cardine per poter essere competitivo e recuperare appeal tra gli operatori. Tale stabilità va garantita in primis attraverso la definizione di regole chiare (quanto meno relativamente alla parte tecnica e alla parte economica di mercato), che non vengano modificate continuamente e discrezionalmente, o peggio attraverso misure retroattive.
Più in dettaglio, le tematiche di discussione principali sono:
- Cap al contributo tariffario ed emissione di TEE “virtuali”. Queste misure hanno una giustificazione in un contesto emergenziale, ma vanno necessariamente superate per tornare a tutti gli effetti ad un meccanismo di mercato. Questa transizione può essere accelerata da un auspicato aumento dell’offerta di titoli che possa favorire la riduzione spontanea dei prezzi di mercato. Lo schema permane infatti in una condizione di forte squilibrio fra domanda e offerta (pochissimi titoli sono stati emessi nel 2018 agli operatori e il 2019 sta andando peggio, come mostra la figura 2).
- Necessità di regole chiare. La gestione del meccanismo negli ultimi anni ha sofferto la carenza di confronto e supporto con gli stakeholder e gli operatori coinvolti nello schema. Tematiche complesse come l’addizionalità e la misura e verifica dei risparmi richiedono un confronto continuo e aperto fra Gestore e operatori. Il call center del GSE è risultato deficitario in ragione della complessità tecnica delle problematiche collegate ai progetti ed è mancata la possibilità di entrare in contatto con il gruppo di valutazione e/o il responsabile del procedimento in modo semplice, come previsto dalla legislazione. Ciò ha contribuito a portare le proposte respinte negli ultimi tre anni al 40-50%, ad allungare le tempistiche di approvazione dei progetti e ad aumentare il contenzioso. Occorre un’unità dedicata alla discussione ex-ante (o un soggetto diverso in grado di farlo).
- Data di avvio dei progetti. Considerata la complessità dei progetti nei grandi impianti industriali, si auspica una maggiore flessibilità per la definizione delle tempistiche di avvio dei lavori, in quanto specialmente con i progetti complessi è difficile, se non impossibile, rispettarle. Un ulteriore aspetto critico sulla data di avvio dei progetti è relativo alla documentazione da produrre per dimostrane la veridicità. Questa problematica è riscontrabile in tutti i tipi di progetto, anche per quelli più semplici, ad esempio relativi alle lampade a led negli impianti di illuminazione pubblica.
- Valorizzazione dei risultati conseguiti. Lo schema non ha prodotto solo risparmi energetici, ma ha consentito negli scorsi anni di qualificare il mercato degli operatori, in particolare ESCO ed EGE, e di incrementare l’attenzione data dalle imprese agli investimenti in efficienza energetica. Un risultato frutto delle sue caratteristiche di base, come l’attenzione alle procedure di misura e verifica dei risparmi, la strutturazione dei PC (e prima delle PPPM), la descrizione dettagliata dei progetti da un lato e del supporto economico dall’altro. Si tratta di effetti fondamentali per accelerare la trasformazione del mercato richiesta per raggiungere gli obiettivi al 2030. Si ritiene dunque fondamentale investire per riportare lo schema a condizioni ottimali di funzionamento.
- Trasparenza. Nell’ultimo anno e mezzo si sono ridotte le informazioni fornite con regolarità, invece di aumentare. Ad esempio, il GME pubblica meno dati sui TEE rilasciati nell’ambito della sua newsletter ed il GSE non fornisce indicazioni sui PC nell’ambito del contatore e non aggiorna gli open data con la frequenza precedente. Ciò rende più difficile fare valutazioni sull’andamento dell’offerta, un aspetto poco in linea con un meccanismo di mercato.
- Contenzioso. L’emersione delle truffe nel 2017 ha poi portato alla realizzazione di controlli a tappeto sulle schede standard. L’approccio seguito, come per i progetti a consuntivo, è stato quello della richiesta di una gran mole di documenti (e.g. fatture, schemi di impianto, visure catastali, APE, contratti con utenti, etc.), purtroppo di difficile – talvolta impossibile – reperibilità a posteriori. Ciò ha portato sia per le schede standard che per i progetti a consuntivo a richieste di restituzione dell’equivalente economico di tutti i TEE ottenuti negli anni dai proponenti sottoposti a verifica e al conseguente ricorso al TAR del Lazio. La riduzione di tale contenzioso appare fondamentale, anche perché il mancato invio di tutti i documenti per tutti gli interventi non dimostra l’esistenza di truffe e nemmeno di irregolarità minori.
La FIRE su questi temi ha sviluppato un documento di proposte insieme alle principali associazioni i cui stakeholder sono collegati allo schema, scaricabile sul sito www.fire-italia.org.
Le alternative
Si può pensare di rinunciare al meccanismo dei certificati bianchi nel nostro Paese? Teoricamente sì. Già abbiamo diversi schemi in funzione a livello nazionale: ecobonus (detrazioni fiscali), conto termico, fondo nazionale per l’efficienza energetica, iperammortamento. Ciò testimonia che ideare schemi alternativi può essere semplice. Assicurare che si conseguano risparmi energetici equivalenti ai certificati bianchi, al contrario, non lo è affatto. Non a caso solo il primo meccanismo ha conseguito risparmi con un ordine di grandezza paragonabile (farlo crescere ulteriormente avrebbe peraltro costi elevati).
Fra gli strumenti più gettonati in alternativa si è parlato di possibili aste per l’efficienza energetica. Va però detto che delle due esperienze esistenti a livello UE, quella svizzera è troppo limitata per un confronto utile, mentre quella tedesca ha conseguito solo un quinto dei risparmi attesi nei primi anni di funzionamento (comunque su dimensioni globali limitate). Appare dunque difficile pensare che tale strumento consenta di raggiungere risultati consistenti in tempi brevi.
La realtà è che tutti gli schemi hanno bisogno di tempo per crescere, come dimostrano le esperienze delle detrazioni fiscali e del conto termico. I certificati bianchi sono riusciti a farlo finché non si è deciso di intervenire in modo poco accorto sulle regole in vigore, rispondendo in modo errato al problema degli eccessi di incentivazione e delle truffe. Lanciare un nuovo meccanismo solo per non volere rimediare agli errori fatti su quello esistente non è probabilmente la soluzione più efficace.
Ciò che realmente serve è rispondere alla domanda: a cosa ci serviranno i certificati bianchi (o uno schema alternativo)? A incentivare in modo deciso interventi? Ad ottemperare agli obblighi dell’art. 7 della direttiva efficienza energetica? A promuovere il mercato? A contrastare il mercato nero? A facilitare il finanziamento dei progetti? E in che settori? A seconda della risposta si possono trovare le soluzioni più idonee. Ma nessuna sarà semplice da gestire o produrrà miracoli. E i risultati in termini di risparmi energetici li dovremo comunque conseguire.
P.S. L’immagine di copertina mi piaceva per il richiamo ironico alla necessità di perseverare, fondamentale in tutte le imprese della nostra vita. Il copyright è evidentemente LEGO.